Il reato di clandestinità è stato introdotto nel Testo Unico sull’immigrazione nel 2009 proprio su iniziativa di Maroni, allora ministro dell’Interno. Sembra che ora il governo sia arrivato ad un punto di svolta sul tema. Vediamo di cosa si tratta.



Il dibattito




L’ articolo 10 bis prevede una sanzione di carattere pecuniario che va dai 5 mila ai 10 mila euro. Il provvedimento è già da tempo oggetto di dibattito, in particolare per quanto riguarda la sua efficacia come deterrente all’ingresso di clandestini, il suo peso sul sistema giudiziario e il suo senso dal punto di vista umano. Nel 2013, l’allora ministro Severino aveva convocato una commissione di esperti che si era espressa in favore della abolizione di questo reato, ovvero della sua depenalizzazione e sostituzione con il procedimento amministrativo di espulsione. Il 2 aprile 2014, con la legge delega 67 in materia di pene detentive non carcerarie, la depenalizzazione è stata approvata in via definitiva da parte del parlamento, dando al governo 18 mesi di tempo per emanare il decreto legislativo. Già ad aprile scorso, dopo un anno dall’approvazione parlamentare, Amnesty International interrogava il governo su quando intendesse agire. Ad agosto scorso, a poche settimane dalla scadenza dei 18 mesi, il governo non aveva però ancora agito.



Cosa succede ora



Il 2 dicembre è arrivato in Commissione Giustizia lo “Schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di depenalizzazione”, che fa riferimento al ritardo dell’esecutivo e dà parere favorevole alla depenalizzazione (pag. 36). Manca ora l’azione finale del governo. Sebbene si sia parlato di una svolta per l’8 gennaio, il tema non è stato ancora discusso in Consiglio dei Ministri e pare che sarà in agenda per il 15 gennaio.



Il verdetto



Più corretto per il governatore lombardo sarebbe dunque stato l’uso del tempo futuro, dato che ad oggi il reato è ancora vigente. Al momento in cui parlava Maroni, sembrava tuttavia imminente una chiusura da parte del governo, la cui azione è ormai fuori tempo massimo rispetto a quanto previsto dal parlamento.