Nella settimana degli attentati di Parigi i salotti televisivi affrontano inevitabilmente confronti sulle tematiche legate al terrorismo. Paolo Gentiloni, invitato a Otto e Mezzo ha trattato la delicata questione dei foreign fighters, ossia quei cittadini stranieri che hanno lasciato i Paesi di origine per andare a combattere in Siria e in Iraq dalla parte del cosiddetto Stato Islamico (che il ministro indica con l’acronimo Daesh per dargli una sfumatura dispregiativa), diffuso nei Paesi arabi.



Nel complesso – secondo Gentiloni – i “giovani europei” combattenti sarebbero 25-30 mila, mentre per l’Italia se ne conterebbero meno di un centinaio. Se consideriamo che l’Italia conta per il 12% della popolazione dei 28 Paesi dell’Unione Europea, il caso nostrano sarebbe un’eccezione ancora più forte. Diciamo subito che nella sua dichiarazione Gentiloni confonde il totale dei foreign fighters con quanti provengono dal nostro continente. Ma vediamo i numeri più da vicino.



Quanti sono i foreign fighters europei



Per motivi comprensibili, non è facile tenere traccia con precisione del numero dei foreign fighters: chi lascia il proprio Paese per andare a combattere dalla parte di l’organizzazione terroristica più avversata del mondo non lo dichiara certo in anticipo.



La stima più attendibile – e citata frequentemente – è quella dell’International Center for the Study of Radicalisation and Political Violence (Icsr), un istituto di ricerca indipendente con sede presso il Department of War Studies del King’s College di Londra.



A fine gennaio del 2015, l’Icsr ha pubblicato un rapporto in collaborazione con la Munich Security Conference che contiene una stima dettagliata, Paese per Paese, dei combattenti stranieri che si sono uniti a “organizzazioni militanti sunnite” in Siria e Iraq. Non solo all’Isis dunque, per questo teniamo presente la precisazione per utilizzare tali dati con una buona approssimazione. Le informazioni si riferiscono alla seconda metà del 2014.



Riportiamo nel grafico in basso i dati per i 14 Paesi dell’Europa occidentale su cui l’Icsr ritiene di poter fare stime affidabili e per gli altri 6 Paesi europei considerati, distinguendo tra cifra minima e massima.



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Il totale oscilla tra 4.720, sommando le stime minime (3.300 dall’Europa occidentale e 1420 da altri Paesi), e 6.140 utilizzando le massime (3.950 dall’Europa occidentale più 2.190 da altri Paesi). Sono numeri molto distanti da quelli di Gentiloni.



Quanti sono i foreign fighters dal resto del mondo



Il rapporto dà una cifra anche del numero totale dei foreign fighters in Siria e Iraq, stimato in oltre 20.000. Più della metà provengono dai Paesi del Medio Oriente, con ai primi posti Tunisia (1.500-3.000), Arabia Saudita (1.500-2.500) e Giordania (1.500).



L’Iscr aggiunge la considerazione che un 5-10% tra questi potrebbero essere morti in battaglia e un altro 10-30% abbia abbandonato le zone di combattimento, ritornando a casa o rimanendo bloccato nei Paesi di transito.



E in Italia?



A settembre 2015 il Ministero degli Interni ha indicato in 81 il totale dei combattenti italiani partiti verso la Siria, dei siriani che erano in Italia e sono tornati nel proprio Paese per combattere e delle altre persone andate in Siria e che avevano legami con l’Italia. Un rapporto IspiI del marzo 2015 riporta stime dei servizi segreti italiani (rese pubbliche dal ministro Alfano), che pongono il numero dei foreign fighters provenienti dall’Italia in “una cinquantina”, con la precisazione che “tra essi solo un numero ridotto ha passaporto italiano”.



La cifra data da Gentiloni è congruente anche con quella stimata dal rapporto Iscr, secondo cui il numero indicativo è 80.



Il verdetto



Gentiloni ha probabilmente confuso il totale dei foreign fighters in Siria e Iraq con il numero di quanti provengono dall’Europa. Si tratta però di due cifre parecchio diverse, perché solo un combattente straniero su cinque, più o meno, viene dal nostro continente. Resta il fatto che l’ordine di grandezza è corretto e che il numero fornito per l’Italia coincide con le altre stime che sono state fatte: per il ministro degli Esteri è un “Nì”.