Matteo Renzi ha salutato gongolante i parlamentari della sua maggioranza prima della pausa estiva, attraverso un iperbolico post su Facebook (“resterete stupiti pensando alle cose che abbiamo portato a casa” – “Mai il Parlamento italiano in 70 anni di storia aveva lavorato così tanto e così intensamente. E nessun Paese europeo ha mai fatto – tutte insieme – così tante riforme.”). Tra i dati verificabili ci soffermiamo in questa analisi sugli investimenti diretti esteri (Ide). Secondo il Premier il loro aumento nel 2014 è un segno che il nostro Paese è finalmente di nuovo attrattivo”. Ma è davvero così?



Il contesto



Gli Ide sono un indicatore di attrattività di un Paese (si veda qui, qui e qui per più dettagli). L‘Italia attrae relativamente pochi investimenti rispetto ai suoi omologhi europei; secondo l’Ice – Istituto per il Commercio Estero – gli Ide rappresentavano infatti il 19,4% del Pil italiano a fronte del 23,4% tedesco, 39,5% francese e una media Ue-27 vicina al 50% (si veda slide 4 qui).



Cala il flusso, aumenta lo stock



Come si calcolano gli Ide? Sono numerosi i modi per misurarli. La fonte più autorevole/più utilizzata in questo campo è l’Unctad, un ente delle Nazioni Unite dedicato al commercio ed allo sviluppo. I suoi dati relativi al 2014 non rispecchiano quanto detto dal Premier, anzi. Il flusso di Ide in entrata si è più che dimezzato nel 2014, con appena 11,5 miliardi di dollari in entrata rispetto ai 25,0 del 2013. Invece di aumentare del 31%, i flussi di investimenti sono diminuiti del 54%. Per l’Ue la variazione – da 333 miliardi a 258 – è stata pari a -23% (-11% il valore dell’Europa intera).



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La situazione è migliore se si guarda agli stock di Ide, ossia il valore totale degli investimenti stranieri in Italia, non solo relativo al 2014. Questo valore ha registrato un +3,6% in Italia rispetto al -7% registrato sia dall’Ue che dall’Europa intera. La variazione da un anno all’altro dello stock degli Ide non è influenzata solo dall’attrattività del Paese in quell’anno ma anche dall’andamento degli investimenti già effettuati (un aumento dei profitti di una filiale italiana, ad esempio – si veda la definizione Ocse disponibile qui o quella UNCTAD qui).






Da dove ha preso questi dati, allora?



Le percentuali che cita Renzi si possono trovare nel rapporto 2015 di fDI Intelligence, un’unità specializzata del Financial Times dedicato agli Ide (e riprese da Repubblica)*. Nella tabella a destra che abbiamo estrapolato dal rapporto fDI Intelligence, si evince che il numero di progetti è effettivamente aumentato in Italia del 31%, di fronte ad una diminuzione per l’Europa del 17%.



Il rapporto fDI Intelligence censisce però esclusivamente gli investimenti cosiddetti “greenfield”, ovvero quando un’azienda estera apre una filiale o succursale in un secondo Paese, portando capitale completamente nuovo. Questo è solo uno dei tipi di Ide possibili, altre forme includono transazioni di tipo M&A (si veda pagina 2 di questo dossier del servizio studi del Parlamento britannico o pagina 203 del documento di definizioni dell’Ocse che fornisce una classificazione di diversi tipi di Ide). Da una telefonata con uno degli autori del rapporto abbiamo appreso che oltre al numero di progetti ne è aumentato anche il valore complessivo, passato da 1,7 miliardi di dollari nel 2013 a 2,8 nel 2014 (+64,7%). In ogni caso si tratta di appena un quarto del valore totale degli investimenti diretti esteri arrivati in Italia nel 2014.



Detto ciò, secondo uno studio ripreso dal Financial Times, gli investimenti greenfield sono quelli con effetti maggiormente positivi sulla crescita del Paese che li riceve. Secondo questo studio gli M&A invece – nonostante trasferiscano competenze manageriali – non avrebbero un effetto positivo sulla crescita.



Il verdetto



Renzi usa i dati di fDI Intelligence per enfatizzare l’aumentata attrattività del Paese nel 2014 e, per rafforzare il messaggio, la mette in contrapposizione al calo registrato nel resto d’Europa. Si dimentica però di puntualizzare che tali dati si riferiscono ad un solo tipo di Ide, quelli greenfield che, per quanto siano considerati da alcuni studi il tipo di investimento migliore per la crescita, non rappresentano la totalità degli investimenti esteri. Questi ultimi si sono complessivamente dimezzati nel 2014 rispetto all’anno prima, stando agli aggiornamenti dell’Unctad. Non ci sembra quindi di poter dare pienamente ragione al Premier, il quale cita un dato parziale sebbene vero e positivo. Inoltre, poiché è stato ripreso senza precisazioni da molti articoli di giornale (si veda qui, qui e qui) il dato ha contribuito a veicolare un’immagine distorta degli investimenti esteri nel Paese. “Nì”.



P.S.: prima di diventare Premier, era lo stesso Renzi a citare l’andamento negativo degli Ide complessivi (censiti dal Mae) per denunciare la scarsa attrattività del nostro Paese.



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* Il rapporto è scaricabile gratuitamente, ma solo successivamente alla compilazione di un modulo con i propri dati personali