Risale a pochi giorni fa la tremenda strage di Garissa, città keniana al confine proprio con la Somalia di cui parla Gentiloni. L’attacco all’università da parte di un commando di guerriglieri appartenenti al movimento somalo di al-Shabaab è costato la vita a 147 studenti, crudelmente separati in base alla loro confessione religiosa, e ha riportato l’attenzione sulle disastrose condizioni della Somalia, Paese ormai da decenni vittima di una totale implosione delle sue infrastrutture e nella morsa di una interminabile guerra civile.

Chi sono gli al-Shabaab, e cosa succede in Somalia?

Se in questi mesi abbiamo parlato di Afghanistan e Yemen, è la Somalia il primo e – purtroppo – migliore esempio di “Paese fallito”. Il Centre for Strategic and International Studies spiega infatti che l’ex colonia italiana è in preda ad una lacerante guerra civile sin dalla caduta del dittatore Mohammed Siad Barre, quando il Paese si è frammentato in una pletora di bande in competizione tra di loro. Dal 1991, secondo le stime, sono morti centinaia di migliaia di somali a causa delle violenze del conflitto e della carestia e ne sono emigrati un milione.

Tra interventi falliti delle Nazioni Unite e pezzi del Paese che dichiaravano la propria indipendenza, si sono contati 14 tentativi per portare la pace in Somalia, sponsorizzati da attori locali e internazionali, fino al raggiungimento di un accordo nel 2004 che ha portato alla formazione del governo federale di transizione. Il nuovo esecutivo e la nuova assemblea – composti in seguito a delicatissime trattative con i signori della guerra e i capo-clan che spadroneggiavano in Somalia in quegli anni – si sono stabiliti nel febbraio del 2006 nella città meridionale di Baidoa, ma risultò presto evidente che erano incapaci di esercitare il proprio potere al di fuori di quell’area urbana. Intanto a Mogadiscio, la capitale de jure della Somalia, si assisteva in quegli anni  alla nascita di una forza che si sarebbe sin dall’inizio contrapposta al disegno internazionale di stabilizzazione del Paese.

Negli anni confusi che passarono tra il 1991 ed il 2004-2006, infatti, la capitale era un inferno conteso da bande rivali. Nello stesso periodo, mentre la popolazione soffriva combattimenti continui, nascevano corti islamiche di quartiere (la Somalia è un Paese a maggioranza musulmano) per garantire un minimo di ordine e sicurezza. Le nuove istituzioni scoprirono presto che si sarebbero potute unire per cacciare i signori della guerra da Mogadiscio – cosa avvenuta nella metà del 2004 – e cominciarono ad espandersi rapidamente al di fuori della città martoriata. E’ stata soltanto l’invasione etiope a salvare il governo di transizione assediato nella città di Baidoa, e a permettere di stabilirsi finalmente, nel 2007, a Mogadiscio, mentre l’Unione delle Corti Islamiche, e il suo braccio armato al-Shaabab (i giovani), si ritiravano nelle zone più remote del Paese e al confine con il Kenya, avviando una campagna di contro-guerriglia.

Al Shaabab e il Kenya

Perché l’attacco in Kenya? Perché, in seguito all’invasione etiope (e al ritiro delle truppe di quel Paese dalla Somalia nel 2009) il Kenya è divenuto il principale attore esterno nella politica somala, assieme al corpo di spedizione organizzato dall’Unione Africana (l’Amisom) di stanza a Mogadiscio e a sostegno del governo somalo. Il Kenya ha invaso il Sud della Somalia nell’ottobre del 2011, in seguito ad incursioni di al-Shaabab all’interno del suo territorio, e mantiene tuttora una presenza militare integrata con l’Amisom. Il Paese africano è da tempo oggetto degli attacchi e delle rappresaglie di al-Shaabab, come spiega Mwangi Kimenyi del Brookings Institute.

E l’Italia cosa fa?

Il nostro Paese è presente in Somalia all’interno dell’operazione Eutm (European Union Training Mission to contribute to the training of Somali security forces), approvata dal Consiglio Europeo il 15 febbraio 2010, il cui scopo è l’addestramento delle reclute somale in modo da renderle “in grado di condurre operazioni militari di livello basico”, come specifica il Ministero della Difesa. L’Italia partecipa con 78 unità, dedicate ad operazioni di addestramento delle forze armate somale, alla sicurezza dei movimenti e del contingente e a supporto logistico ed amministrativo. L’intervento italiano, che doveva concludersi il 31 marzo di quest’anno, è stato prorogato fino al 30 settembre 2015 dal decreto legge 18 febbraio 2015, n.7, (art. 13), con uno stanziamento di 21,2 milioni di euro (per Eutm e altre operazioni Ue nel Corno d’Africa).

Il ministro sa bene di cosa parla. “Vero”.