Renzi è tornato a pronunciarsi sul famoso taglio di tasse dei 18 miliardi di euro per il 2015, che ormai da mesi menziona, per sottolineare un fattore positivo della sua azione di governo. In realtà, però, questo annuncio estremamente ottimista racconta soltanto metà della verità: la Legge di Stabilità approvata nel dicembre dell’anno scorso racchiude al suo interno aumenti di entrate che dovrebbero essere considerati per consegnare un messaggio “completo” all’elettorato.

Le tasse diminuiscono da una parte…

I famosi 18 miliardi di tasse in meno sono comparsi per la prima volta nell’ottobre del 2014, in occasione della presentazione da parte del governo delle slide riassuntive della Legge di Stabilità, che sarebbe poi stata approvata dal parlamento (con alcune modifiche) qualche mese dopo.

In realtà, alla seconda slide troviamo, tra le uscite:


  • 9,5 miliardi di euro stanziati per il rifinanziamento del “bonus di 80 euro” per tutto il 2015*;
  • 5 miliardi di euro stanziati per il taglio della componente lavoro dell’Irap, l’imposta che devono pagare le imprese;
  • 1,9 miliardi di euro per l’azzeramento dei contributi previdenziali che devono pagare le imprese per l’assunzione di nuovi contratti a tempo indeterminato.

Tali riduzioni sono le più corpose, a cui andrebbero ad aggiungersi altre misure, che concorrerebbero – secondo il Premier – a produrre una diminuzione di tasse equivalente a circa 18 miliardi di euro.

…Ma aumentano dall’altra

Certo, per finanziare questa spesa il governo ha dovuto prevedere dei tagli di spesa e degli aumenti di imposte. Anche se è vero, (secondo quanto osservato dagli analisti di Lavoce.info) che la maggiore spesa seguita dalla Legge di Stabilità sarà finanziata prevalentemente da maggior debito**, ci sono effettivamente stati degli aumenti di tasse. Basta consultare non soltanto la slide di presentazione dello stesso governo, ma anche quanto è stato infine inscritto sulla Gazzetta Ufficiale dopo l’approvazione della Legge di Stabilità.


  • L’aumento dell’aliquota sulle rendite finanziarie: è una misura che risale in realtà all’aprile del 2014 – l’aliquota sui proventi da interessi e/o premi era stata infatti aumentata dal decreto legge no. 66 del 24 aprile 2014, passando dal 20 al 26%.
  • L’aumento dell’aliquota sulla previdenza complementare, passata dall’11 al 20%. Questa è una misura introdotta in Legge di Stabilità e che contribuisce, assieme all’aumento sulle rendite finanziarie, a creare maggiori tasse per 3,6 miliardi di euro (come specificato nelle slide del governo).
  • L’aumento della tassazione sul gioco d’azzardo (nello specifico le slot machine) equivalente a 1 miliardo di euro.

In conclusione

Se facessimo il saldo tra maggiori uscite e maggiori entrate, almeno sul fronte fiscale, raggiungeremmo un saldo equivalente più o meno a 12 miliardi di euro di minori tasse. D’altronde questo era il ragionamento fatto anche da Noisefromamerika che, pur considerando nel conteggio altre voci di entrata ed uscita, ha raggiunto più o meno lo stesso risultato – una riduzione netta di 12,6 miliardi di euro per il 2015, piuttosto che i 18 miliardi annunciati da Renzi. Il nostro voto a questa dichiarazione è “Nì”.

P.S.: non dimentichiamoci delle cosiddette clausole di salvaguardia. Il governo deve trovare ed approvare, entro il primo gennaio 2016, misure alternative volte a scongiurare l’aumento dell’Iva per garantire 3,3 miliardi di euro di maggiori entrate nel 2016 e 6,3 miliardi nel 2017. La recente pubblicazione del DEF per il 2015 spiega come si dovrebbero evitare queste misure: 

“Viene scongiurata l’attivazione delle clausole di salvaguardia per il 2016 –
volte a garantire il conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica – che
avrebbero prodotto aumenti del prelievo pari all’1,0 percento del Pil. Questo
obiettivo viene raggiunto i) in parte grazie al miglioramento del quadro
macroeconomico – che si riflette in un aumento del gettito – e alla flessione della
spesa per interessi rispetto alle previsioni dello scorso autunno, con un effetto
complessivo valutabile in 0,4 punti percentuali del Pil; ii) in parte per effetto
delle misure di revisione della spesa che verranno definite nei prossimi mesi, per
un importo pari allo 0,6 per cento del Pil”.

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* Attenzione, perché formalmente il “bonus 80 euro” non rappresenta una riduzione di tasse, bensì un aumento di spesa pubblica. Si tratta infatti di un sussidio orientato verso una categoria specifica dell’elettorato e nel bilancio dell’amministrazione pubblica finirebbe categorizzato come aumento di spesa piuttosto che come minore entrata. D’altronde basta vedere l’ultimo rapporto Istat sul conto economico trimestrale delle amministrazioni pubbliche: a fronte di un aumento delle uscite dello 0,8% nel 2014, le entrate totali sono cresciute dello 0,6%, e la pressione fiscale è risultata in aumento di 0,1 punti percentuali rispetto all’anno precedente (salendo nel 2014 al 43,5%). Per approfondimenti vi consigliamo di leggere questo articolo di Mario Seminerio.

** Il professor Daveri conclude la sua analisi con la seguente frase: La legge non porta a una netta riduzione di imposte, ma solo a una nuova allocazione del carico fiscale tra lavoro e risparmio (e imposte indirette, che potrebbero aumentare a seguito delle clausole di salvaguardia del 2016 e 2017)”. L’abbiamo contattato per ulteriori chiarimenti su questa osservazione, e ci ha confermato come questa frase possa essere ritenuta un commento agli andamenti della finanza pubblica tra il 2014 ed il 2017, dai quali si può osservare un aumento delle entrate totali e la spesa.