Sabato 13 febbraio il nuovo governo presieduto da Mario Draghi è entrato ufficialmente in carica con la cerimonia di giuramento.

Governo tecnico o politico? Alla fine, Draghi ha scelto una squadra di ministri mista, ma con una significativa presenza di esponenti politici appartenenti ai partiti che sostengono l’esecutivo.

Con una precisazione. I ministeri di maggiore peso sono stati affidati a figure tecniche. Per citarne alcuni fra i nuovi: al ministero dell’Economia e delle Finanze andrà l’ex ragioniere generale e direttore di Bankitalia Daniele Franco; al ministero dell’Innovazione tecnologica e la transizione digitale all’ex amministratore delegato di Vodafone Vittorio Colao; al ministero della giustizia l’ex presidente della Corte Costituzionale Marta Cartabia; al ministero della Transizione ecologica il fisico Roberto Cingolani; e al ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture a Enrico Giovannini, ex presidente dell’Istat e portavoce dell’Alleanza per lo sviluppo sostenibile (Asvis).

In totale, otto ministri tecnici e 15 ministri politici. Fra questi ultimi, però, nessuno è alla prima esperienza di governo.

Che cosa hanno fatto nelle loro “vite ministeriali” precedenti e per cosa vengono ricordati? Vi proponiamo un ripasso sugli otto politici più navigati del nuovo governo Draghi.

Renato Brunetta, ministro della Pubblica amministrazione

Veneziano, 70 anni, veterano di Forza Italia e per molti anni capogruppo del partito alla Camera. Nel nuovo governo Draghi, Brunetta torna al ministero della Pubblica amministrazione, di cui era già stato titolare dal 2008 al 2011, durante il quarto governo di Silvio Berlusconi.

Lo ricordiamo perché: La riforma Brunetta del 2009 all’insegna del motto (suo) «premiare i lavoratori meritevoli e punire i fannulloni» della pubblica amministrazione. L’utilizzo del termine “fannulloni” gli valse una certa impopolarità (per usare un eufemismo) fra i dipendenti pubblici. La legge (n. 15 del 2009) introduceva un meccanismo di incentivi alla produttività, l’obbligo di identificazione dei lavoratori e gli allora molto discussi “tornelli” per controllare gli ingressi.

Mariastella Gelmini, ministra degli Affari regionali e autonomie

Bresciana, classe 1973, capogruppo di Forza Italia alla Camera in questa legislatura e ora nuova ministra degli Affari regionali. Anche Mariastella Gelmini, come Brunetta, faceva parte del quarto governo Berlusconi, dove presiedeva il ministero dell’Istruzione.

La ricordiamo perché: Porta il suo nome e la sua firma una controversa riforma della scuola portata avanti dal 2008 al 2011, a partire dalle leggi 133 e 169 del 2008. Secondo le principali critiche di studenti e sindacati, l’insieme dei provvedimenti della sua riforma portò alle cosiddette classi “pollaio”, fino a 35 studenti, prevedeva tagli e la riduzione degli orari scolastici. Il provvedimento fu anche contestato da un’ondata di scioperi nelle scuole.

Gelmini si rese anche protagonista di una gaffe ancora molto citata dai suoi critici. Il 24 settembre 2011, il ministero dell’Istruzione rilasciò un comunicato in cui si faceva riferimento alla costruzione (inesistente) di un ipotetico tunnel fra la Svizzera e l’Abruzzo: «Alla costruzione del tunnel tra il Cern e i laboratori del Gran Sasso, attraverso il quale si è svolto l’esperimento, l’Italia ha contribuito con uno stanziamento oggi stimabile intorno ai 45 milioni di euro». Per la vicenda si dimise il portavoce, ma non la ministra.

Mara Carfagna, ministra per il Sud e la coesione territoriale

Nata a Salerno nel 1973, Mara Carfagna è entrata in politica nel 2004 con Forza Italia. Dal 2008 al 2011 ha fatto anche lei parte del quarto governo Berlusconi come ministra per le Pari opportunità.

La ricordiamo perché: In questo dicastero, Carfagna è stata promotrice della legge che ha introdotto il reato di stalking nel 2009. Dal 2018 è vicepresidente della Camera e in questa legislatura ha fatto parlare di sé come voce critica di Forza Italia, in particolar modo nel rapporto con la Lega. Il 4 ottobre 2018, mentre presiedeva una seduta della Camera, si scontrò con l’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini: «Ministro, lei è libero di parlare ma non di insultare il Parlamento. Le sembrerà strano, ma le regole valgono anche per lei», furono le parole di Carfagna. Nel 2019 ha fondato l’associazione politica “Voce Libera”, giudicata da Silvio Berlusconi «inutile e divisiva».

Luigi Di Maio, ministro degli Esteri

Classe 1986, nato ad Avellino, a 34 anni Luigi Di Maio è il ministro più giovane del nuovo governo Draghi (che registra un’età media piuttosto alta: 54 anni). Allo stesso tempo, è uno di quelli che ha ricoperto più incarichi: nel 2013, a 26 anni, è diventato il più giovane vicepresidente della Camera di sempre; dal 2017 al 2020 è stato capo politico del M5s; ma soprattutto, è l’unico ministro confermato da tutti e tre i governi consecutivi di questa legislatura. Nel Conte I era ministro del Lavoro e vicepremier, nel Conte II ha ricoperto la carica di ministro degli Esteri (anche qui, il più giovane della storia), ruolo in cui è stato riconfermato con il nuovo governo Draghi.

Lo ricordiamo perché: Una carriera fulminante, uno dei primi esponenti nel Movimento 5 stelle a passare dallo stile “rivoluzionario” a quello istituzionale. Negli anni è inciampato su diversi congiuntivi che hanno attirato le ironie del web. L’ultimo, il 24 gennaio 2021, ospite di Lucia Annunziata a Mezz’ora in più su Rai 3: «Qualora Renzi staccava la fiducia… ». Da vicepremier fu molto contestato per aver incontrato – insieme ad Alessandro Di Battista – il leader dei gilet gialli francesi Cristophe Chalençon. Memorabile la frase pronunciata dopo l’approvazione del Documento di economia e finanza che apriva la strada al reddito di cittadinanza: «Oggi aboliamo la povertà», disse il 27 settembre 2018. Di Maio e i ministri M5s si affacciarono al balcone di Palazzo Chigi per festeggiare l’evento.

Roberto Speranza, ministro della Salute

42 anni, potentino, è diventato ministro della Salute nel 2019 nel governo Conte II ed è fra le riconferme del governo Draghi. Ex capogruppo del Partito democratico, è passato ad Articolo 1 nel 2017 e oggi continua a far parte del gruppo parlamentare di Liberi e uguali.

Lo ricordiamo perché: Verrà ricordato (e continuerà ad essere) il ministro della Salute nel corso di una pandemia senza precedenti nell’ultimo secolo. Speranza è sempre stato il capofila dei rigoristi all’interno del Consiglio dei ministri. Ad ottobre è stato al centro diuna polemica per aver pubblicato – e velocemente ritirato dagli scaffali – un libro dal titolo Perché guariremo, la cui uscita coincideva, pessimo tempismo, con l’acuirsi della seconda ondata.

Andrea Orlando, ministro del Lavoro

Vicesegretario del Partito democratico, 52 anni, nato a La Spezia. Andrea Orlando ha alle spalle diversi incarichi da ministro e in ambiti molto diversi fra loro (una critica che gli viene mossa in questi giorni): è stato ministro dell’Ambiente con il governo Letta dal 2013 al 2014 e poi titolare della Giustizia dal 2014 al 2018 con il governo Renzi e Gentiloni. Con Draghi, ora, ha ottenuto il ministero del Lavoro.

Lo ricordiamo perché: La riforma del processo penale del 2017, nota anche con il nome di “ddl Orlando”. Nel 2017 ha tentato la scalata alla segreteria del Partito democratico, candidandosi alle primarie contro Matteo Renzi, che però è stato rieletto alla guida del partito quello stesso anno.

Dario Franceschini, ministro della Cultura

Classe 1958, fra i pesi massimi del Partito democratico, di cui è stato capo-delegazione nel governo Conte II. Nella squadra di Mario Draghi, Franceschini è il ministro che ha attraversato più governi (ben sette): è stato sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega alle riforme istituzionali, dal 1999 al 2001 nei governi D’Alema II e Amato II, ministro per i rapporti con il Parlamento con Enrico Letta nel 2013 ed è alla quarta riconferma al ministero della Cultura: le prime due volte con gli esecutivi di Renzi e Gentiloni (2014-2018), poi il secondo governo Conte e ora la riconferma nel team di Draghi. Con una differenza: questa volta il ministero per i Beni culturali perde il Turismo, che va come ministero autonomo al leghista Massimo Garavaglia.

Lo ricordiamo perché: È fra i politici più esperti del nuovo governo, tanto da essere diventato l’oggetto di una battuta che si sente ogni tanto nei palazzi: «Dove c’è Franceschini c’è maggioranza». La sua gestione dei Beni culturali è stata criticata da intellettuali come Tomaso Montanari, che in passato lo ha definito «ministro dei mali culturali». Lo storico dell’arte ha accusato Franceschini di aver smantellato le soprintendenze (gli organi distaccati del Ministero per la tutela dei beni culturali nei territori) e di aver messo in atto un approccio improntato sulla «valorizzazione per fare cassa».

Giancarlo Giorgetti, ministro dello Sviluppo economico

54 anni, viene da Cazzago Brabbia, il paese in provincia di Varese di cui è stato anche sindaco dal 1995 al 2004. Bocconiano, commercialista, Giorgetti è un deputato della Lega da 25 anni. Nel Conte I (2018-2019) ha ricoperto il ruolo di sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Di poche parole, di poche interviste, ma al centro delle decisioni “che contano”, Giorgetti si è guadagnato la fama di “eminenza grigia” del Carroccio. Ora è il nuovo ministro dello Sviluppo economico nel nuovo governo di Mario Draghi, di cui è sempre stato un sostenitore.

Lo ricordiamo perché: Difficile ricondurre Giorgetti a episodi specifici, proprio per la sua nota discrezione. Lo stile sobrio l’ha portato a essere considerato la voce di una Lega più moderata, lontana dai toni sguaiati e dalle performance del Papeete, e per questo punto di riferimento del mondo industriale e bancario vicino al Carroccio. Nel periodo del primo governo Conte, non correva buon sangue fra l’allora sottosegretario e il Movimento 5 stelle. Nei mesi della pandemia una sua frase del 2019 è stata al centro di una forte polemica: «Nei prossimi cinque anni mancheranno 45 mila medici di base, ma chi va più dal medico di base, senza offesa per i professionisti qui presenti? – aveva detto Giorgetti al Meeting di Comunicazione e Liberazione – Nel mio piccolo paese vanno a farsi fare la ricetta medica, ma chi ha almeno 50 anni va su internet e cerca lo specialista. Il mondo in cui ci si fidava del medico è finito». Le carenze della medicina di base in Lombardia hanno infatti acuito le difficoltà del territorio davanti alla gestione della pandemia.

In conclusione

Il nuovo governo Draghi ha una composizione mista: ne fatto parte otto tecnici (nei ministeri più strategici) e quindici politici.

Fra i quindici esponenti dei partiti, nessuno è alla prima esperienza di governo. In tre (Gelmini, Carfagna e Brunetta) hanno fatto parte del quarto governo Berlusconi.

Altri tre (i leghisti) avevano avuto un incarico nel governo Conte I. Sono invece stati riconfermati in nove dal governo Conte II. Anche gli altri avevano già ricoperto ruoli nei governi Renzi e Gentiloni.