Come
abbiamo sottolineato più volte in passato, affinché la situazione migliori è necessario che, oltre al calo dei casi, vi sia anche una discesa del tasso di positività dei tamponi, ossia il rapporto tra i nuovi casi e i nuovi tamponi effettuati. Se questo indicatore rimane troppo elevato, vuol dire che quasi certamente molti casi non vengono diagnosticati.
Da metà gennaio nel conteggio nazionale dei tamponi sono stati aggiunti anche i tamponi antigenici, accanto ai classici molecolari. Gli antigenici, noti anche come “test rapidi”,
sono meno affidabili di quelli molecolari, ma permettono di avere una diagnosi in pochi minuti.
Confrontare il tasso di positività attuale con quello del passato
è complicato proprio per via dell’aggiunta dei tamponi antigenici che, avendo aumentato notevolmente il denominatore, hanno causato un crollo del tasso di positività generale.
Guardiamo allora al tasso di positività dei soli tamponi molecolari. All’interno di questo insieme si vede che il tasso è sensibilmente più basso del passato. Attualmente è intorno all’8 per cento, lontano dai picchi del 15 per cento visti a novembre e del 13 per cento a dicembre.
Quasi tutte e quattro le macroaree
hanno tassi di positività – considerando sia molecolari che antigenici – intorno al 5 per cento. Solo al Sud il dato appare essere leggermente maggiore. Il tasso di positività molecolare è invece stabile tra il 7 e l’8 per cento nel Nord, tra l’8 e il 9 per cento e in aumento nel Centro e poco sotto al 10 per cento al Sud.
Complessivamente il Nord-Est, in particolare grazie al Veneto, è la zona che fa il maggior numero di tamponi, mentre il Sud è quella che ne fa di meno. Nord-Ovest e Centro, invece, si equivalgono.