La seconda ondata non sta calando dappertutto

Ansa
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Dal 29 novembre, con un’ordinanza del Ministero della Salute, tre regioni italiane (Lombardia, Piemonte e Calabria) sono passate da area rossa ad arancione, mentre altre due (Liguria e Sicilia) sono entrate in area gialla.

Per milioni di italiani, dunque, sono state allentate alcune delle misure restrittive introdotte a inizio di novembre. Questa scelta è in parte dovuta al miglioramento dell’andamento dell’epidemia nel nostro Paese.

Tra ottobre e novembre, infatti, si era arrivati a toccare un massimo giornaliero di 40 mila nuovi casi di positività al coronavirus, mentre negli ultimi giorni ci sono stati in media 25 mila diagnosi al giorno.

Questo miglioramento, però, non è omogeneo in tutte le zone d’Italia e alcune regioni sono ancora in forte difficoltà. Vediamo che cosa dicono i numeri, partendo dai dati sui contagi.

I casi stanno diminuendo

A livello nazionale, nell’ultima settimana ci sono stati in totale circa 176 mila casi di coronavirus, mentre la settimana precedente erano stati circa 230 mila e quella ancora prima circa 243 mila. Negli ultimi sette giorni i casi sono quindi scesi a un livello più basso rispetto a quello di quattro settimane fa, quando furono circa 183 mila.

Se si osserva la media mobile a sette giorni – cioè la media calcolata sui casi di ogni giorno con i precedenti sei giorni – a livello nazionale si vede che a metà novembre si era raggiunto un massimo di circa 35 mila casi al giorno, al momento calato di quasi 10 mila casi al giorno.

Le differenze tra i territori

La situazione non è però omogenea su tutto il Paese: il calo dei contagi è infatti particolarmente pronunciato nel Nord-Ovest e quasi nullo nel Nord-Est. Questo è in parte dovuto al fatto che nel Nord-Ovest si trovano le regioni più colpite dalla seconda ondata (Lombardia, Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta), dove sono state introdotte le misure di contenimento più restrittive. Oltre a questo, è anche più semplice registrare un calo più marcato dei contagi quando la base di partenza del numero degli infetti è più alta rispetto a quello delle altre regioni.

Anche il Centro ha registrato un calo delle diagnosi, passate da un massimo di poco sopra i 6 mila al giorno a circa 4 mila. Al Sud, invece, la diminuzione dei casi è iniziata solo negli ultimi giorni: il massimo è stato infatti raggiunto il 23 novembre, con circa 8.200 casi. Al Nord-Ovest il picco si è invece raggiunto il 13 novembre con quasi 14 mila casi, mentre il Sud ha attualmente circa 6.800 casi e il Nord-Ovest 7.800.

Va ricordato che la distribuzione della popolazione nelle quattro macroaree è diversa: nelle regioni del Nord-Ovest vive il 27 per cento della popolazione italiana, nel Nord-Est il 19 per cento, nel Centro il 20 per cento e nel Sud il 34 per cento.
A livello regionale si nota che pressoché tutte le regioni siano in calo nei contagi, con l’eccezione della Puglia. La discesa è particolarmente pronunciata nella Provincia autonoma di Bolzano, in Piemonte, Valle d’Aosta, Lombardia, Toscana e Umbria.

Basilicata, Calabria, Lazio, Emilia Romagna, Veneto e Provincia autonoma di Trento sembrano invece aver maggiori difficoltà a far flettere la curva.

Ci perdiamo meno casi rispetto a prima

Come ormai abbiamo imparato da diversi mesi, per valutare il miglioramento dell’epidemia è necessario guardare anche all’andamento del tasso di positività dei tamponi, ossia il rapporto tra il numero dei tamponi positivi con quello dei tamponi fatti.

Se il tasso di positività sale troppo, infatti, vuol dire che le aziende sanitarie locali non riescono più a stare dietro ai casi, a fare il tracciamento dei contatti e le operazioni di screening. Solo in questo modo si può davvero tenere sotto controllo la diffusione.

Come abbiamo spiegato più volte in passato, non esiste una soglia precisa per valutare la gravità di un certo livello del tasso di positività, ma secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) non dovrebbe superare il 5 per cento. Altri esperti pongono la soglia anche a un livello minore, intorno al 3 per cento.

In Italia il tasso di positività è arrivato a essere oltre il 16 per cento a metà novembre e ora è poco sopra il 12 per cento. Anche se resta a un livello parecchio alto, il fatto che questo tasso stia calando è un buon segnale, sintomo di un generale miglioramento della situazione, in particolar modo considerando che il numero di tamponi effettuati ha avuto una leggera flessione negli ultimi giorni.

Le differenze tra i territori

Se si guarda a livello di macroaree, si osserva che il maggior calo del tasso di positività è stato registrato nel Nord-Ovest, dove a inizio novembre era arrivato a superare il 20 per cento e ora è al 13 per cento, facendo meglio anche del Nord-Est e del Sud.

Anche al Centro si è avuto un considerevole calo, passando dal 12 per cento del tasso di positività al 9 per cento, mentre al Sud è sceso dal 16 per cento al 13 per cento.

Il Nord-Est invece è al momento la zona con il maggior numero di tamponi positivi: ogni 100 tamponi eseguiti, 15 sono positivi. C’è stato un leggero calo negli ultimi giorni, ma in generale si nota una certa stabilità.
Nelle singole regioni, il tasso di positività è crollato in Valle d’Aosta (da un picco del 25 per cento a circa il 10 per cento) ed è sceso considerevolmente in Campania, Liguria, Lombardia, Piemonte, Toscana, Umbria e nella Provincia autonoma di Bolzano.

Il rapporto tra tamponi positivi e tamponi fatti rimane invece stabile in Emilia-Romagna, Puglia e Veneto. In quest’ultimo caso, il dato potrebbe essere parzialmente influenzato dall’alto numero di tamponi antigenici che esegue la Regione. Al 29 novembre, in totale, ne erano stati infatti eseguiti circa 953 mila.

Il tasso di positività non sta però calando in tutte le regioni. In Basilicata, Puglia e Marche sta addirittura crescendo di nuovo, dopo un periodo di leggera discesa. In questo caso i livelli stabili raggiunti nei nuovi casi giornalieri sono in parte spiegabili dal minor numero di tamponi eseguiti.

Negli ospedali i pazienti iniziano a scendere

Con il calo dei contagi, inizia a registrarsi anche una diminuzione del numero dei pazienti ricoverati negli ospedali.

Come abbiamo sottolineato più volte in passato, è però molto difficile conoscere il reale andamento dei ricoveri nelle strutture ospedaliere per Covid-19. Il Ministero della salute e la Protezione civile, infatti, non forniscono i dati sui nuovi ingressi in ospedale, come invece fanno per esempio Spagna e Francia, ma solo quello delle persone in questo momento ricoverate. Le variazioni che sono comunicate ogni giorno sono soltanto il saldo tra i ricoverati totali di quel giorno e quelli del giorno prima.

In generale, negli ultimi giorni il numero di contagiati da coronavirus in ospedale è iniziato a calare: si è passati da un massimo di circa 34.600 ricoverati nei reparti di medicina generale, malattie infettive e pneumologia, a circa 32.900, dopo settimane di continua crescita. Per quanto riguarda le terapie intensive, si è passati da un massimo di 3.848 ricoverati, raggiunto il 25 novembre, ai 3.753 del 29 novembre.

Come abbiamo anticipato, questo non significa necessariamente che ogni giorno ci siano stati meno ricoveri in terapia intensiva rispetto a prima. Il saldo dei ricoverati potrebbe infatti calare in parte anche a fronte del continuo elevato numero dei decessi, che analizzeremo tra poco.

Le differenze tra i territori

Anche per quanto riguarda i ricoveri la situazione non è omogenea a livello nazionale. Il calo è infatti in gran parte concentrato nel Nord-Ovest, dove però nel momento di picco vi era oltre il 40 per cento degli ospedalizzati di tutto il Paese.

Al Sud e al Centro c’è ancora una crescita delle persone ospedalizzate, seppur molto contenuta. Come per il Nord-Est, si può parlare di un livello stabile.

Va comunque sempre tenuto a mente che le persone negative al virus, ma ancora in ospedale per le conseguenze della malattia, vengono conteggiate tra i guariti e che vi sono delle discrepanze tra i dati forniti dalla Protezione civile e quelli dell’Istituto superiore di sanità (Iss).

Ci sono ancora tanti decessi

I decessi per Covid-19 sono l’ultimo indicatore a calare, quando si registra un miglioramento del contagio.

A livello nazionale – in media mobile a sette giorni – di recente i decessi quotidiani sono stati quasi 750. Al momento non è possibile dire se gli 853 registrati il 24 novembre rappresentino il picco della seconda ondata, perché i morti hanno un andamento molto irregolare, in particolar modo a causa dei ritardi di notifica delle regioni.

A livello di macroaree, si osserva che al Nord-Est i decessi sono ancora in crescita, seppur a un livello minore dei giorni precedenti, mentre al Sud si siano stabilizzati da circa tre giorni. C’è poi una leggera tendenza al calo al Nord-Ovest e al Centro.

A livello regionale, si vede che l’unica regione dove c’è stato un vero calo è stata la Valle d’Aosta, che però a metà novembre aveva raggiunto il maggior numero di decessi in relazione alla popolazione. Numeri in discesa si registrano anche in Abruzzo, Liguria, Umbria e nella Provincia autonoma di Bolzano.

I decessi salgono ancora in Campania, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Piemonte, Puglia, Sicilia, Toscana e Veneto.

In conclusione

Negli ultimi giorni, a livello nazionale l’epidemia di coronavirus in Italia sta registrando numeri incoraggianti: i nuovi casi stanno calando, così come il tasso di positività; il numero di persone ospedalizzate ha smesso di crescere e mostra i primi segni di calo; il numero di decessi rimane molto alto, ma ci si può attendere un calo nei prossimi giorni.

Le misure imposte nelle ultime tre settimane dal governo e dalle regioni sembrano mostrare i loro frutti.

Un’analisi solo a livello nazionale nasconde però le notevoli differenze che vi sono tra singole macroaree o singole regioni. Nonostante il generale miglioramento, infatti, diverse zone del Paese rimangono in difficoltà.

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