Ci sono più ricoveri da Covid-19, ma quanto c’è da preoccuparsi?

Ansa
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In Italia, con la crescita dei casi di Covid-19 delle ultime settimane si è assistito anche a un aumento delle persone ricoverate negli ospedali. Nel dibattito pubblico e politico, però, si sente spesso ripetere che la situazione attuale per quanto riguarda il nostro sistema sanitario non deve destare preoccupazioni.

È vero che i dati sui ricoveri sono molto più bassi rispetto al picco dell’epidemia, raggiunto ad aprile scorso, ma a che ritmo sta crescendo il numero di pazienti Covid-19 che hanno necessità di assistenza ospedaliera? E quali sono le soglie oltre le quali scatta l’allerta?

Abbiamo cercato di fare un po’ di chiarezza, elaborando le statistiche più aggiornate disponibili: se al momento la situazione negli ospedali risulta sotto controllo, ci sono piccoli segnali, soprattutto per alcune regioni, che destano una potenziale preoccupazione e suggeriscono di mantenere alta la cautela.

Quanti sono i pazienti in ospedale con Covid-19

Prima di tutto, vediamo quanti sono nel complesso i pazienti in Italia in ospedale per il nuovo coronavirus.

Al 30 agosto in Italia c’erano 1.337 persone positive al Sars-Cov-2 ricoverate in ospedale con sintomi. Di queste, 86 erano in terapia intensiva e 1.251 negli altri reparti.
Grafico 1. Andamento del numero delle persone ospedalizzate in Italia per il nuovo coronavirus – Fonte: Protezione civile
Il dato dei 1.251 ricoverati attuali è più alto rispetto al minimo toccato lo scorso 1° agosto, quando gli ospedalizzati erano 748, ma resta ancora molto distante dal massimo di 33.004 raggiunto il 4 aprile, nel pieno dell’emergenza.

Come si osserva dal Grafico 1, dopo il 1° agosto è iniziata una leggera crescita dei pazienti ospedalizzati, che ha accelerato verso la fine del mese. L’aumento degli ospedalizzati si sta concentrando in particolare al Sud e nelle isole (Grafico 2).
Grafico 2. Numero delle persone ospedalizzate in Italia per nuovo coronavirus, diviso per macroregioni – Fonte: Protezione civile
Nel Nord-Est l’aumento degli ospedalizzati si è verificato soprattutto nell’ultimo mese, mentre nel Nord-Ovest si è assistito a un calo per tutto giugno, che è terminato il 17 agosto con un minimo di 264 ospedalizzati; solo a quel punto vi è stata una crescita. In entrambe queste due aree, comunque, gli aumenti sono minori rispetto alle altre due macroregioni.

Il trend di crescita degli ingressi giornalieri in ospedale

Oltre al dato complessivo degli ospedalizzati, vediamo qual è stato l’andamento dei nuovi ricoveri, un dato che il Ministero della Salute e la Protezione civile non comunicano. Le variazioni quotidiane, infatti, corrispondono al saldo tra nuovi ospedalizzati e dimessi.

L’andamento dei nuovi ricoveri si può però ottenere estraendo e aggregando i dati sui “primi ingressi” in ospedale, pubblicati dall’Istituto superiore di sanità (Iss) nei suoi report settimanali (Grafico 3).
Grafico 3. Andamento dei nuovi ricoveri in Italia per Sars-CoV-2 – Fonte: Iss
Nelle ultime 12 settimane sono state ricoverate per Covid-19 in media 280 persone a settimana, cioè circa 40 al giorno.

Nelle ultime settimane c’è stata una tendenza all’aumento: dopo aver toccato un minimo di 210 ricoveri nella settimana del 13-19 luglio, si è iniziati a salire arrivando a 449 in quella del 17-23 agosto. In questo periodo, rispetto a quello precedente, c’è stato un aumento del 40 per cento dei nuovi ricoveri, dopo che nelle settimane passate c’erano stati aumenti del 5 per cento, dell’11 per cento e del 20 per cento.

L’aumento delle persone ospedalizzate non è quindi solo dovuto a un calo delle persone dimesse, ma anche a una crescita di coloro che necessitano di ricovero.

È possibile che una parte dei nuovi ingressi ospedalieri registrati come Sars-CoV-2 faccia riferimento a pazienti che dovevano essere ricoverati per altri motivi e che una volta sottoposti a tampone, si sono rivelati essere positivi al virus. Non ci sono dati ufficiali per chiarire questa ipotesi, se non per alcune eccezioni. L’Azienda unità sanitaria locale (Ausl) di Bologna, per esempio, ha trovato tre casi positivi al Sars-CoV-2 su 97 grazie ai test pre-ricovero. Non è però detto che siano poi state effettivamente ricoverate.

È dunque in corso un trend di crescita degli ospedalizzati e dei nuovi ricoveri giornalieri. Ma quanto è davvero preoccupante questo aumento?

Le soglie di allerta e i tassi di occupazione

Lo scorso 30 aprile, in vista delle riaperture successive al lockdown nazionale, il Ministero della Salute ha pubblicato un decreto dove ha elaborato una serie di criteri con cui viene valutato il rischio dell’epidemia da nuovo coronavirus.

Per quanto riguarda la situazione negli ospedali, sono stati scelti due criteri: il tasso di occupazione dei posti di terapia intensiva superiore al 30 per cento; il tasso di occupazione dei posti letto totali delle «aree mediche rilevanti» superiore al 40 per cento.

Le «aree mediche rilevanti» sono quelle in malattie infettive e tropicali, medicina generale e pneumologia [1]. Ma quanto sono “occupati” al momento i posti letto in Italia in questi reparti?

Ogni anno il Ministero della Salute rilascia in formato open data – ossia dati liberamente accessibili da tutti – il numero di posti letto negli ospedali italiani, divisi per area medica. Secondo l’ultimo aggiornamento, a fine 2019 i posti letto delle tre aree mediche citate prima erano 37.960, con un massimo di 6.369 in Lombardia e un minimo di 66 in Valle d’Aosta.

Per quanto riguarda i posti letto in terapia intensiva, Il Report 11 sul “Monitoraggio Fase 2” del Ministero della Salute con i posti allora occupati in terapia intensiva sottolinea che si fa riferimento a quelli ordinari. Questi ammontano a 5.293, anche qui il massimo è di 859 in Lombardia e il minimo di 12 in Valle d’Aosta.

Secondo un documento elaborato dall’Università Cattolica di Milano, in Italia nei primi giorni dell’epidemia vi erano 6.831 posti di terapia intensiva e a maggio si era arrivati ad averne 8.765.

Al 30 agosto, in Italia i 1.251 ricoverati con sintomi occupavano il 3,3 per cento dei posti letto rilevanti, mentre gli 86 ricoverati in terapia intensiva erano l’1,6 per cento in questa specifica categoria.

Sono due percentuali molto distanti dai livelli soglia del Ministero della Salute (30 per cento per le intensive e 40 per cento per le tre aree mediche rilevanti), ma è necessario sottolineare che ci sono significative differenze regionali.

Come cambiano i dati a livello regionale

Al 30 agosto, nel Lazio il tasso di occupazione dei tre reparti di malattie infettive, medicina generale e pneumologia era pari all’8,8 per cento, mentre nella Provincia autonoma di Trento era dello 0,6 per cento e in Lombardia del 3 per cento.

Anche per quanto riguarda le terapie intensive vi è un’alta differenza nelle percentuali: nella Provincia autonoma di Bolzano al 30 agosto era occupato il 5 per cento dei posti; in Calabria, Valle d’Aosta e Molise non c’era nessuno ricoverato e in Lombardia il 2,3 per cento.

Va inoltre sottolineato che i diversi tassi di occupazione delle regioni sono molto probabilmente influenzati dalle diverse modalità di ricovero. In Puglia il 14,9 per cento delle persone attualmente positive è ospedalizzato. La percentuale scende al 3,1 per cento in Lombardia e al 2,3 per cento in Basilicata. L’altra regione con un alto tasso di ospedalizzazioni è il Lazio con il 10,4 per cento dei casi attivi in ospedale.

È possibile che alcune regioni, per esempio, ricoverino anche chi non ha gravi sintomi perché non può stare in isolamento a casa. Un’altra probabile spiegazione è che alcune regioni, invece, non riescano a individuare centinaia di casi, concentrandosi principalmente su quelli con sintomi più evidenti.

Bisogna infine ricordare che i tassi di occupazione si riferiscono solo ai pazienti positivi al Sars-Cov-2: coloro che si sono negativizzati vengono infatti tolti dai conteggi e risultano essere guariti, anche se ancora ricoverati per le conseguenze della Covid-19.

In conclusione

Al momento la situazione dei ricoveri per Covid-19 negli ospedali italiani non appare preoccupante. Dopo l’aumento dei casi giornalieri, registrato in Italia nelle ultime settimane, si sta però iniziando a osservare una crescita sia delle persone ricoverate in terapia intensiva sia di quelle ricoverate con sintomi negli altri reparti. Questo sta avvenendo in particolar modo al Sud ed è dovuto ai nuovi ingressi in ospedale, che seppur bassi, stanno crescendo.

Nel complesso, i tassi di occupazione dei posti letto per casi Covid-19 sono parecchio lontani dalle soglie di allerta del Ministero della Salute. In alcune regioni, però, c’è un alto numero di ospedalizzati in relazione al numeri di casi attivi, che si traduce in un tasso di occupazione più elevato.

Per le prossime settimane, è molto probabile aspettarsi una crescita delle persone ospedalizzate, se i contagi giornalieri dovessero continuare ad aumentare, con il rischio, soprattutto per alcune regioni, di avvicinarsi a livelli soglia che destano maggiori preoccupazioni.



[1] Un’analisi sul rischio sanitario in Italia, seguendo i due criteri del Ministero della Salute e sulla base dei dati liberamente accessibili, è svolta quotidianamente da Vittorio Nicoletta, studente di dottorato all’Université Laval del Quebec, in Canada.

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