Il 23 luglio, in una diretta Facebook, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha annunciato alcune novità sulla realizzazione della Tav Torino-Lione.

In breve, Conte ha detto che i costi per bloccare l’opera sarebbero più alti della sua realizzazione e che solo il Parlamento, a questo punto, può prendere una decisione per fermare definitivamente i lavori.

Ricordiamo che ad oggi – nonostante l’analisi costi-benefici del governo a febbraio 2019 avesse dato parere negativo sull’opera – il processo per realizzare la Tav sta andando avanti. A luglio 2019, secondo Telt (la società responsabile della realizzazione del tunnel di base) è stato scavato oltre il 18 per cento delle gallerie previste nella sezione transfrontaliera, tra Francia e Italia.

Abbiamo verificato alcune dichiarazioni del presidente del Consiglio nella sua diretta.

Quanto è “vecchia” la Tav

«La Tav è un’infrastruttura concepita decenni fa e destinata a essere realizzata tra qualche lustro» (min. – 6:20)

Come abbiamo spiegato nel nostro speciale curato per l’agenzia di stampa Agi sul tema Tav, si discute del nuovo progetto ferroviario Torino-Lione da quasi trent’anni. Almeno dal 1991, infatti, si è acceso un dibattito all’interno del Paese tra chi ritiene l’opera necessaria per lo sviluppo infrastrutturale italiano, e chi inutile e dannosa.

In realtà, la prima idea di tracciato è stata proposta dieci anni dopo, il 29 gennaio 2001, con l’accordo tra Italia e Francia ratificato dal Parlamento nel 2002.

Nel 2006, le proteste dei cosiddetti “No Tav” convinsero i governi italiani dell’epoca – prima quello Berlusconi, poi quello Prodi – a rivedere il progetto originario.

Un accordo del 2012 tra Italia e Francia ha sancito quello che – con alcune modifiche successive – è il tracciato di cui si discute oggi, mentre l’intesa sull’avvio definitivo dei lavori è stata firmata dai due Paesi nel 2015.

Per quanto riguarda i tempi di realizzazione, si hanno scadenze diverse a seconda della parte dell’opera presa in considerazione.

Nel 2012 si è infatti deciso di costruire la Tav per “fasi”. La prima tappa comprende, in concreto, la realizzazione della tratta transfrontaliera (quella con il tunnel di base), mentre le parti successive dell’opera saranno attivate alle condizioni di saturazione della linea. Ossia quando merci e passeggeri saranno superiori alle capacità di trasporto della prima parte della linea realizzata.

Come scritto Telt a luglio 2019, il cronoprogramma dei lavori per il tunnel di base «prevede l’entrata in servizio nel 2030».

L’Europa ci dà più soldi?

«L’Europa […] si è detta disponibile ad aumentare il finanziamento della tratta transfrontaliera dal 40 al 55 per cento. Questo ridurrebbe lo stanziamento di fondi che l’Italia deve destinare al progetto Tav con un notevole risparmio» (min. – 4:16)

In breve: è vero.

Il 25 giugno, il Consiglio di amministrazione di Telt ha dato il via alla pubblicazione degli avvisi di interesse per la realizzazione del tunnel di base (lato Italia).

A quella seduta del Cda ha partecipato anche Iveta Radicova, la coordinatrice europea del Corridoio Mediterraneo dell’Ue, ossia quello di cui dovrebbe fare parte la Tav Torino-Lione.

Radicova ha confermato l’intenzione dell’Ue di aumentare dal 40 per cento al 55 per cento il contributo comunitario per la costruzione del tunnel di base. A novembre 2018, la stessa Radicova aveva annunciato un aumento al 50 per cento, il 5 per cento in meno delle intenzioni più recenti.

Queste percentuali diventeranno ufficiali, però, solo quando l’Ue approverà le norme di finanziamento valide tra il 2021 e il 2027.

Grazie a un maggiore contributo europeo, quale sarebbe il risparmio dell’Italia? Dipende dal costo di partenza. Secondo la stima certificata dal Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe) ad agosto 2017, la sezione transfrontaliera costa in totale 9,6 miliardi di euro.

Il costo a carico del nostro Paese per questa tratta scenderebbe così da 3,3 miliardi di euro a 2,5 miliardi di euro (quello della Francia a 1,8 miliardi di euro). I restanti 5,3 miliardi di euro (il 55 per cento sul totale, appunto) sarebbero a carico dell’Europa.

Ma c’è anche un’altra stima: i costi validati nel protocollo d’intesa siglato nel 2016 tra Francia e Italia parlano di una spesa per la sezione transfrontaliera di quasi 8,6 miliardi di euro (questa cifra, a differenza del Cipe, è espressa in valuta 2012 e non tiene conto del potenziale aumento dell’inflazione e del costo delle materie prime).Sulla base di questo costo complessivo, la spesa a carico dell’Italia scenderebbe a 2,2 miliardi di euro.

Ricordiamo che, come indica un allegato al Documento di economia e finanza del 2018, le risorse già stanziate fino al 2030 dai precedenti governi italiani per la tratta al confine tra i due Paesi ammontano a oltre 2,5 miliardi di euro.

In ogni caso, come abbiamo spiegato in una precedente analisi, più soldi dall’Ue non incidono sul parere negativo dell’analisi costi-benefici del governo, che non fa distinzione sulla provenienza dei soldi per la realizzazione dell’opera.

I soldi Ue potrebbero essere usati per altro?

«I fondi europei sono assicurati solo per la realizzazione del Tav, e non potremmo farne un impiego alternativo» (min. – 0:55)

Anche questo è corretto.

Mentre le risorse stanziate dallo Stato non ancora spese potrebbero essere investite in altri settori, quelle concesse dall’Ue sono vincolate alla Tav, come chiarisce l’accordo del 2014 tra Commissione europea, Francia e Italia, per la concessione di contributi per oltre 800 milioni di euro (tra il 2015 e il 2019).

Che cosa ne pensa la Francia

«La Francia si è espressa per la conferma della realizzazione di quest’opera» (min. – 3:16)

Il presidente del Consiglio fa riferimento a un voto dell’Assemblea nazionale francese del 18 giugno scorso.

In quella data, i parlamentari francesi hanno in effetti approvato la cosiddetta “Legge di orientamento sulla mobilità” (in francese, Loi d’orientation des mobilités), che indica le future linee guida del Paese in tema di trasporti.

Il testo conferma che «lo Stato conferma il suo impegno nella realizzazione della Torino-Lione, collegamento centrale del Corridoio mediterraneo della rete di trasporti transeuropea».

Secondo l’Assemblea, la Tav non ha vantaggi solo per i «viaggi internazionali», ma è necessaria anche per «i principali obiettivi della strategia di investimento» delineata dalla “Legge di orientamento sulla mobilità stessa” (tra cui la transizione energetica, la mobilità quotidiana e lo sviluppo del trasporto ferroviario delle merci).

Serve il Parlamento per bloccare l’opera?

«Per bloccare l’opera […] solo il Parlamento potrebbe adottare una decisione unilaterale» (min. – 2:21)

Come abbiamo visto in precedenza, la realizzazione della Tav è frutto di accordi internazionali siglati dal nostro Paese con la Francia, e ratificati da Camera e Senato.

«Dopo avere dato il suo consenso per l’approvazione, il Parlamento dovrà autorizzare la revoca, l’uscita dall’accordo e la sua rottura», ha spiegato a Pagella Politica Ugo De Siervo, ex presidente della Corte costituzionale.

«Qui siamo in presenza di una procedura di produzione normativa: il governo fa una trattativa, vede se trova l’intesa, e una volta giunta l’intesa viene siglato dai governi l’accordo. Se il trattato riguarda tante cose, ci vuole l’autorizzazione del Parlamento: se io voglio fare marcia indietro, devo seguire la stessa procedura, in cui non ci sarà più l’accordo in partenza ma ci sarà la volontà di rompere, unilaterale, da parte di una delle parti, e però ci vorrà che il Parlamento condivida».

Secondo De Siervo, inoltre, l’esecutivo può da solo approvare un atto per bloccare la Tav che non coinvolga il Parlamento, ma questa scelta avrebbe conseguenze fortemente negative: «Il governo può tentare di fare tutto quello che vuole, però poi si assume le responsabilità non solo patrimoniali ed economiche da parte della controparte, ma soprattutto dal punto di vista costituzionale: compie un atto illegittimo».

Come abbiamo spiegato in una nostra precedente analisi, sarebbe inoltre molto improbabile risolvere la questione con un referendum, sia a livello nazionale che locale.

Quanto costa non fare la Tav

«Alla luce di questi nuovi finanziamenti comunitari, non realizzare il Tav costerebbe molto più che completarlo» (min. – 0:43)

Abbiamo visto che a seconda delle stime e dell’aumento del contributo Ue il costo a carico dell’Italia della sezione transfrontaliera è compreso tra i 2,2 miliardi di euro e i 2,5 miliardi di euro.

Quanto costerebbe non fare la Tav? Come abbiamo scritto diverse volte, c’è molta incertezza nel rispondere a questa domanda dal momento che, a differenza dei costi per la realizzazione, non esistono cifre ufficiali.

La relazione tecnico-giuridica pubblicata a febbraio 2019 dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, insieme all’analisi costi-benefici, dice che è impossibile «determinare in maniera netta i costi in caso di scioglimento» degli accordi con la Francia.

Nonostante l’assenza di vere e proprie penali, il costo di fermare la Tav si conoscerebbe soltanto al termine di un «procedimento complesso, il cui risultato è del tutto impredicibile».

Ad oggi, però, se si considerano gli indennizzi e le restituzioni a Ue e Francia, il risarcimento dei soldi già investiti e i contenziosi con le imprese che hanno ottenuto i lavori, le stime sul prezzo della rinuncia alla Tav vanno da circa 1,7 miliardi di euro a quasi 4 miliardi di euro. È probabile dunque, anche se non certo, che i costi del blocco siano maggiori di quelli complessivi per la realizzazione.

Ricordiamo che questi costi fanno riferimento solo a quelli finanziari. L’analisi costi-benefici del Mit ha cercato di quantificare in termini monetari quali sarebbero anche i costi per l’intera società (in termini, per esempio, di inquinamento ambientale o meno introiti per le casse dello Stato) dicendo che questi sarebbero in ogni caso maggiori dei benefici complessivi.

Questa analisi, però, è stata fortemente criticata dai favorevoli all’opera, che, tra le altre cose, ne contestano alcune scelte metodologiche, come quella di includere nei costi per lo Stato la perdita di introiti dalle accise sui carburanti.

Conclusione

Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha annunciato in una diretta Facebook alcune novità sulla Tav Torino-Lione.

In generale, Conte ha riportato informazioni sostanzialmente corrette. È vero che l’Ue ha annunciato di voler dare più soldi a Francia e Italia per la realizzazione della Tav (anche se questo non cambierebbe il parere negativo dell’analisi costi-benefici del Mit).

Un maggiore contributo Ue abbasserebbe il costo a carico del nostro Paese, che scenderebbe tra i 2,5 miliardi di euro e i 2,2 miliardi di euro.

La rinuncia alla Tav potrebbe avvenire solo attraverso un voto del Parlamento (un’azione unilaterale del governo sarebbe considerata illegittima dal punto di vista costituzionale), ma i suoi costi ad oggi sono ancora incerti.

Secondo le stime più aggiornate, bloccare la Torino-Lione costerebbe tra gli 1,7 miliardi di euro e i 4 miliardi di euro: è dunque possibile che il costo superi la spesa per sua realizzazione.