Proprio nei giorni delle grandi inchieste sulla cupola del malaffare romano è stato pubblicato, per incredibile coincidenza giornalistica, l’aggiornamento 2014 del Corruption Perception Index di Transparency International. Come ogni anno, i risultati dell’indice hanno avuto un’enorme eco mediatica e sono stati ripresi dai giornali di tutto il mondo. In Italia ne si è fatta una lettura estremamente pessimistica, che sembra inizialmente essere giustificata.



Insomma, Italia prima in corruzione in Europa? In realtà la questione è molto, molto più complessa, e questa si tratta di una delle esagerazioni giornalistiche che già altre volte ci siamo premurati di correggere. Ma andiamo per ordine.


Il Corruption Perception Index. Cos’è, cosa comunica e perché viene criticato


Transparency International conduce la sua indagine internazionale ormai da diciannove anni. L’indice, come spiega rapidamente la metodologia, viene elaborato prendendo un campione statistico di individui ai quali viene chiesto quanto ritengono che sia grave la corruzione nelle istituzioni pubbliche nel loro Paese. I sondaggi sono condotti da una dozzina di partner internazionali, tra cui la African Development Bank, l’Economist Intelligence Unit, o la Banca Mondiale.


Insomma, l’indice (o più propriamente il sondaggio), come dice proprio il nome, si occupa di misurare la corruzione percepita più che fornire una stima sull’entità dei fenomeni corruttivi nei Paesi che osserva. Tutto ciò lo ha reso oggetto di numerose critiche – lo scorso 8 novembre l’Economist criticava l’abitudine sempre più frequente, da parte di giornali e governi di tutto il mondo, di affidarsi a indici di comparazione internazionale spesso distorti dalle inevitabili differenze che si riscontrano tra un Paese e l’altro. Foreign Policy, invece, esprimeva scetticismo sulla metodologia stessa dell’indice – ripetere annualmente un sondaggio ad alta eco mediatica che, ripetutamente, catagola un Paese come “altamente” o “poco” corrotto, avrebbe inevitabilmente un’influenza sulle opinioni degli intervistati l’anno successivo, distorcendo i risultati. Lo stesso articolo cita inoltre come lo stesso inventore dell’indice, Johann Graf Lambsdorff, abbia deciso nel 2009 di non condurre più i sondaggi per la sua ricerca. Critiche sono arrivate anche da professori come Stuart Vincent Campbell, ordinario di legge all’Università del Minnesota.


L’Italia è veramente ultima in Europa?


Dipende da che area geografica vogliamo considerare. Certo, da una prima occhiata alla mappa dell’Europa lo Stivale non sembra certamente essere classificato molto bene.



Più un Paese è scuro, più è basso il suo punteggio e più indica preoccupazione, da parte degli intervistati, circa il livello di corruzione nelle istituzioni pubbliche. L’Italia è inserita all’interno dell’area geografica “Unione Europea e Europa Occidentale”, che racchiude tutti i Paesi dell’Unione Europea e altri Paesi come la Norvegia o la Svizzera. All’interno di questa particolare classifica, effettivamente, l’Italia risulta molto in fondo, a pari merito con Bulgaria, Grecia e Romania, con un punteggio di 43. Se poi volessimo espandere l’area di osservazione a tutto il continente, includendo quindi i Paesi balcanici extra-Ue, l’Ucraina o la Bielorussia, la nostra posizione migliora leggermente.


Ma attenzione però, perché il fenomeno della corruzione è estremamente complicato da misurare: dipende da che parte lo si osserva per ribaltare interamente una classifica. Basta per esempio considerare un altro indice, composto dalla stessa Transparency International – il Global Corruption Barometer. Anche questo si tratta in realtà di un sondaggio, ma fa una domanda diversa – agli intervistati viene chiesto se hanno mai pagato una bustarella. I risultati sono ben diversi, e l’Italia si posiziona questa volta tra i virtuosi dell’ultima classifica stilata nel 2013, addirittura al di sotto della Svizzera e allo stesso livello del Regno Unito:



Certo, anche qui bisogna fare delle considerazioni: si tratta sempre di un sondaggio – gli italiani potrebbero pagare meno mazzette ma potrebbero pagare cifre più onerose, oppure potrebbero semplicemente confessarlo di meno. Detto ciò, il Global Corruption Barometer rivela un problema fondamentale: il fenomeno della corruzione è estremamente difficile da misurare proprio per la sua natura sommersa – nell’assenza di cifre chiare sui costi della corruzione (circola ancora la bufala sui 60 miliardi di costo annuo), i risultati disponibili dipendono unicamente da sondaggi di opinione criticabili e capaci di stravolgere le classifiche a seconda della domanda che viene fatta.


Insomma, comprendiamo la tentazione di accoppiare il tremendo scandalo della cupola del malaffare romana ai risultati pubblicati ieri. L’Italia sprofonda nella corruzione, e il siglo della rinomata Transparency International non fa altro che aggiungere legittimità statistica alle sensazioni di angoscia e di impotenza che proviamo da comuni cittadini. A nostro avviso, però, prima di titolare “Italia Paese più corrotto d’Europa” converrebbe fare un bel respiro e riconsiderare le metodologie utilizzate – non bisogna mai fidarsi delle coincidenze corrette.