Fact-checking sulle relazioni con la Russia



Chiunque sperasse che una photo-op con un koala bastasse a risolvere le tensioni internazionali, ha dovuto ricredersi: questi animaletti saranno pure carini, ma non hanno effetti distensivi. Lo si è visto chiaramente nel corso del summit G-20 a Brisbane, Australia, dal quale il Presidente russo Vladimir Putin se ne è andato prematuramente, a quanto pare irritato dalle critiche occidentali nei suoi confronti. L’ultimo vertice in Turchia con il Presidente Erdogan ha poi aggiunto ulteriore benzina al fuoco: Putin ha infatti annunciato, proprio ieri, che la Russia rinuncerà al progetto South Stream, il gasdotto che avrebbe dovuto collegare la Russia ai Balcani passando sotto il Mar Nero. In questo clima di tensioni sempre maggiori tornano in mente i paragoni storici con le tensioni della Guerra Fredda, ed inevitabilmente si riaffacciano i soliti interrogativi: è possibile una normalizzazione delle relazioni tra Russia ed Occidente, specialmente nell’attuale contesto di crisi in Ucraina?



Qualche russo sembra avere una risposta molto chiara a riguardo, ma Pagella Politica ha deciso comunque di approfondire gli aspetti principali del rapporto tra l’Unione Europea e il gigante eurasiatico, analizzando i quesiti che tormentano attualmente l’opinione pubblica europea.



La Russia è un fornitore di energia fondamentale per le economie europee?



Si parla spesso dell’eccessiva dipendenza energetica dell’Unione Europea nei confronti della Russia, specialmente in riferimento al consumo e alle importazioni di gas naturale. Secondo i recenti dati Iea (International Energy Agency) e Eurogas, la porzione di gas importato dalla Russia sul totale del gas naturale consumato in Europa è andata crescendo negli ultimi quattro anni. A fronte di un consumo di gas in generale calo, le importazioni dalla Russia sono aumentate da un 29% del totale nel 2010 al 36% nel 2013 (145 miliardi di metri cubi nel 2010, 167 miliardi nel 2013).



Guardando i singoli Paesi, però, scopriamo che esistono notevoli divergenze in termini di dipendenza energetica da Mosca. Il Congressional Research Center dagli Stati Uniti fornisce gli ultimi dati sull’importanza del gas russo nei singoli Paesi della Ue, sia sul consumo totale di energia che di solo gas naturale. Notiamo così come si vada da Paesi fortemente dipendenti – come ad esempio Bulgaria, Finlandia, Svezia o Lituania, per i quali il gas russo rappresenta il 100% dei consumi di gas naturale – ad altri per cui il gas russo non ha alcuna importanza.






Bisognerebbe però guardare anche ad un altro dato, ovvero al consumo primario di energia. In questo modo apprendiamo, ad esempio, che se per l’Estonia il gas russo copre il 100% del consumo di gas nazionale, ricopre invece appena il 10% del consumo energetico totale. Diverso il caso della Lituania, dove il gas russo ricopre rispettivamente il 100% del consumo di gas ed il 50% del consumo energetico o della Slovacchia, dove queste percentuali raggiungono il 63,3 ed il 20,3%.



Quanto costerà il sistema di sanzioni incrociate?



Nel marzo di quest’anno l’Unione Europea, gli Stati Uniti, il Canada, l’Australia e la Norvegia hanno imposto sanzioni sulla Russia per rispondere all’intervento di Mosca in Ucraina. Le sanzioni economiche contemplano un blocco delle esportazioni europee di armamenti (70 milioni di euro nel 2013) ed un congelamento della capitalizzazione di banche di Stato russe su piazze finanziarie europee. Si stima che questo costo sarà sostenuto in gran parte dalla City di Londra, la quale secondo il think tank Open Europe, ha totalizzato guadagni da servizi finanziari a banche russe pari all’1% delle esportazioni nel periodo 2004-2012, ovvero 90-130 milioni di euro se ci rifacciamo alle cifre sulle esportazioni di beni e servizi verso la Russia fornite dal governo britannico.



Oltre a questo, le sanzioni implicano uno stop alle esportazioni di dual-use technology, ossiadi tecnologia che può essere utilizzata per fini militari oltre che civili. Ci riferiamo ai computer e materiali/servizi di elettronica e di telecomunicazioni, le cui esportazioni verso la Russia erano stimate attorno ai 7 miliardi di euro per il 2013. Si stima invece che le contro-sanzioni russe (che colpiscono le importazioni di alcuni prodotti agro-alimentari di tutti i Paesi Ue) costeranno circa 5 miliardi di euro nell’anno in cui saranno in vigore, secondo il Ceps. Si calcola quindi in 10-12 miliardi il costo complessivo delle sanzioni.



E’ vero che la Russia subisce di meno il costo delle sanzioni?



Come ha affermato il neo ministro degli Affari Esteri Paolo Gentiloni qualche settimana fa, sembra che l’economia russa stia subendo dei danni derivanti dall’imposizione delle sanzioni occidentali, come già sta accadendo dal calo del prezzo del petrolio.



A partire dalla data d’imposizione delle sanzioni statunitensi (il 6 marzo, seguite dalle sanzioni europee il 17 dello stesso mese) alla data di oggi (2 dicembre) il rublo si è svalutato all’incirca del 27%, con una marcatissima accelerazione negli ultimi giorni. Ora non è chiaro se la svalutazione sia generata in maggior parte dall’imposizione delle sanzioni o dal calo del prezzo del petrolio (che, come scrive l’Economist, è strettamente correlato all’andamento del rublo, e che rappresenta con i suoi prodotti derivati il 54% delle esportazioni russe).



Ed infatti sembra essere cresciuta l’inflazione – il tasso attuale, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, è salito in due mesi dal 7,55% all’8,29%, secondo i dati di Inflation.eu. D’altronde, tra rublo in caduta libera e blocchi di importazioni, ci si sarebbe dovuti stupire del contrario. In ogni caso, se i russi sembrano essere ancora un po’ indecisi, una strada l’ha tracciata il ministro delle Finanze Anton Siluanov. Lo scorso lunedì (24 novembre) ha dichiarato che il governo ha stimato una perdita di 40 miliardi di dollari l’anno generata dalle sanzioni. Intanto la Banca Mondiale, nel suo rapporto mensile sull’economia russa, specifica come i salari reali (al netto quindi dell’inflazione) stiano declinando, anche se il calo del rublo e il blocco delle importazioni di prodotti agroalimentari europei e statunitensi stanno favorendo l’attività industriale e agricola.



Che sta facendo la Russia nel Donbass ucraino?



Giungiamo adesso alla madre di tutte le questioni, la causa principale dietro al raffreddarsi delle relazioni tra Russia e blocco Nato: l’attuale situazione politica dell’Ucraina. Sull’argomento si è espresso Silvio Berlusconi, facendo una disanima sulla natura dei convogli russi inviati nelle regioni orientali dell’Ucraina.



Il 2 novembre sono stati annunciati i risultati delle elezioni tenutesi nelle auto-proclamate repubbliche indipendenti del Donbass, Donetsk e Lugansk. La reazione di Mosca alle elezioni non è tardata ad arrivare per bocca del ministro degli Esteri Sergey Lavrov, il quale esprimeva “rispetto” per il processo elettorale. L’Unione Europea, tramite l’Alto Rappresentante per la Politica Estera Federica Mogherini, ha invece condannato duramente gli accadimenti del Donbass (nella mappa tratta dal sito della Bbc sono illustrate le aree controllate dai separatisti filo-russi).






Le tensioni e le incomprensioni sono generate dalla confusione generale sul ruolo che sta giocando la Russia nell’Ucraina orientale, e più in particolare sullo scopo dei convogli umanitari inviati da Mosca nel Donbass. Il primo di questi convogli è infatti partito ad agosto ed il flusso non si è più arrestato, tant’è che è di pochi giorni fa l’arrivo del settimo. La Russia e la Nato hanno opinioni fortemente divergenti sulla natura della missione umanitaria – se la stampa russa sostiene infatti che i convogli contengono cibo e materiali per la ricostruzione, la Nato sostiene invece che siano “cavalli di Troia” per favorire e rafforzare i ribelli.



Qualsiasi oggetto vi sia contenuto e qualsiasi sia lo scopo dei convogli umanitari russi, è stato lo stesso neo Presidente dell’autoproclamata Repubblica Popolare di Donetsk ad ammettere il coinvolgimento di Mosca tramite l’arrivo di 50 carri armati dalla Federazione Russa e l’impegno di addestrare 1.200 combattenti separatisti ribelli su suolo russo (si può visualizzare anche su video). Tuttavia l’apporto della Russia non si limiterebbe ad armi ed addestramento: secondo Ella Polyakova, leader della Ong “Madri dei Soldati”, sarebbero almeno 100 i soldati russi morti in combattimento in Ucraina, e 300 i feriti. Una tesi corroborata dall’Osce, che monitora il confine russo-ucraino e che sostiene come qualche giorno fa 630 persone in divisa militare e un furgone contrassegnato da un codice usato dall’esercito russo abbiano attraversato la frontiera tra i due Paesi.



Insomma, in attesa di ulteriori sviluppi possiamo sicuramente stabilire che l’attuale rapporto tra Bruxelles e Mosca è tutt’altro che positivo. Non bisogna però esagerare con l’allarmismo, come invece ha fatto qualche politico locale: l’Europa e la Russia hanno intensissimi scambi commerciali (specialmente nel campo energetico) che saranno difficilmente cancellati da un giorno all’altro, e che rendono l’una dipendente dall’altra e viceversa. La speranza è che le diplomazie internazionali riescano a venire a capo della crisi ucraina senza spargimenti di sangue e nel rispetto della volontà delle sue popolazioni.



Ringraziamo lo staff di www.luce-gas.it per i suggerimenti forniti in merito al rapporto energetico tra Europa e Russia.