Il 20 settembre, Carlo Petrini, gastronomo e fondatore del movimento culturale Slow Food, ha dichiarato al Fatto Quotidiano che «il cambiamento climatico dovuto all’effetto serra è provocato solo per il 17 per cento dalla mobilità, mentre il 34 per cento è colpa del comparto agroalimentare».



È davvero così? Abbiamo verificato.



Da dove vengono questi numeri?



Secondo l’ufficio stampa di Slow Food, la cifra riportata da Petrini sul «comparto agroalimentare» è tratta dal rapporto Climate Change, Agriculture & Food, una pubblicazione del Barilla Center for Food Nutrition (BCFN) – una fondazione che lavora sulla sostenibilità ambientale. La ricerca del BCFN dice per la precisione che “l’agricoltura” genera approssimativamente il 33 per cento delle emissioni di gas serra nel mondo.



A sua volta, la BCFN cita genericamente come fonte del dato il World Resource Institute (WRI), una organizzazione non governativa con sede a Washington, negli Stati Uniti, impegnata nella promozione della sostenibilità ambientale, dello sviluppo economico e della salute.



La differenza fra il dato citato da Petrini e quello della BCFN è di un solo punto percentuale, ma scavando più a fondo sembrano emergere delle incongruenze.



Il database del World Resource Institute



Negli archivi del WRI, non c’è alcun riscontro diretto del dato secondo cui l’agricoltura genera il 33-34 per cento delle emissioni di gas nocivi nel mondo.



Nei vari database del WRI – che a loro volta contengono le cifre di molte organizzazioni, come la Banca Mondiale e l’Agenzia Internazionale per l’Energia – i dati più recenti sulle emissioni di gas serra sono aggiornati al 2012 (qui scaricabili). Sul totale di gas serra imputati ai vari settori produttivi a livello mondiale, circa 47,59 miliardi di tonnellate equivalenti di CO2 complessive emessi nel mondo, l’agricoltura ne genera 5,38 miliardi (l’11,3 per cento), mentre i trasporti ne immettono 7,18 miliardi (il 15,09 per cento).



Come si vede, sono dati abbastanza diversi da quelli citati dal BCFN e da Petrini.



Il fondatore di Slow Food, però, si riferisce al comparto agroalimentare nel suo insieme, includendovi quindi non solo l’agricoltura, ma presumibilmente anche altre attività energivore che si posizionano a monte e a valle della semplice attività agricola, lungo l’intera filiera agroalimentare. Attività come i disboscamenti che in alcune regioni del mondo si compiono per far posto alle piantagioni il trasporto delle varie derrate agricole, la trasformazione industriale delle materie prime e semilavorate in alimenti rientrano probabilmente fra quelle che Petrini sembra voler includere nel dato citato.



Lo studio Oxfam



Un approccio simile è usato anche dallo studio “A qualcuno piace caldo: Così l’industria alimentare nutre il cambiamento climatico”, pubblicato dall’organizzazione non governativa Oxfam. La Figura 1 tratta dalla ricerca mostra che la fetta delle emissioni imputabili all’attività agricola è composta da spicchi provenienti da altri settori.






Figura 1: Emissioni globali di gas serra ed emissioni del sistema alimentare – Fonte: Oxfam



Secondo lo studio, però, anche includendo tutte le emissioni nocive lungo il “sistema del cibo” – cioè la filiera agroalimentare – si arriva al massimo a una quota del 25-27 per cento dei gas serra complessivi, abbastanza distante dal 34 per cento menzionato da Petrini.



Che cosa ne pensa l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC)



Anche secondo l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) – l’organizzazione scientifica più accreditata al mondo negli studi sui cambiamenti climatici – il peso delle emissioni agroalimentari è considerevole, ma inferiore al dato citato da Petrini.



L’ultimo rapporto di valutazione dell’IPCC (pubblicato al 2014) indica che il cosiddetto settore AFOLU (Agricolture, Forestry and Land Use), cioè quello su agricoltura, foreste e consumo della terra – che comprende il grosso delle emissioni della filiera agroalimentare – incide per il 24 per cento delle emissioni nocive complessive a livello mondiale, come mostrato nella Figura 2.






Figura 2: Emissioni nocive settore AFOLU (Agricoltura, foreste e usi della terra) – Fonte: IPCC



I trasporti, invece, generano 7,1 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente, pari al 23 per cento delle emissioni complessive di gas serra. La Figura 3 mostra i diversi mezzi di trasporto che hanno contribuito alle emissioni.






Figura 3: Emissioni nocive settore trasporti – Fonte: IPCC



Secondo l’IPCC, insomma, i settori trasporti e agricoltura hanno una incidenza molto simile, se si guarda alla propagazione delle emissioni clima-alteranti. In entrambi i casi, il dato fornito da Petrini nell’intervista pare non accurato.



Due pesi e due misure?



Va aggiunto poi che, se è giusto allargare l’impronta ecologica dell’agricoltura, includendovi tutte le emissioni nocive generate lungo l’intera filiera agroalimentare, lo stesso andrebbe fatto per il settore trasporti in senso stretto.



Per fare un confronto omogeneo, bisognerebbe includervi tutte le emissioni relative al sistema mobilità, generate per esempio dalle attività minerarie, siderurgiche e industriali necessarie alla produzione e distribuzione di auto, moto, bus, treni, aerei, navi e del loro smaltimento.



Si tratta di un’operazione complicata che comincia a essere fatta, per esempio, a livello aziendale per le emissioni legate al ciclo di vita completo di un determinato prodotto o per le emissioni di una intera azienda, ma che difficilmente è applicabile verticalmente a un intero macro-settore come la mobilità ed orizzontalmente su scala mondiale.



Conclusione




I dati citati dal fondatore di Slow Food Carlo Petrini – che provengono dallo studio della Fondazione Barilla Center for Food Nutritionnon sembrano accurati, se confrontate con altre fonti e studi sul tema. Secondo quest’ultimi, il peso dell’agricoltura nel riscaldamento climatico non arriva al 34 per cento menzionato da Petrini, ma si ferma intorno al 25 per cento.