Sebbene la pandemia abbia messo un po’ in secondo piano il tema dell’immigrazione nel dibattito politico italiano, il passaggio dal 2021 al 2022 è già stato segnato da una significativa novità.

Lo scorso 21 dicembre il presidente del Consiglio Mario Draghi ha infatti firmato il nuovo cosiddetto “decreto Flussi”, il decreto del presidente del Consiglio dei ministri (Dpcm) che stabilisce quanti lavoratori non comunitari possono entrare legalmente nel nostro Paese per settori come l’edilizia o l’autotrasporto. Il provvedimento, che deve ancora essere pubblicato Gazzetta ufficiale, era molto atteso ed è arrivato a oltre un anno e mezzo dall’ultimo decreto “Flussi”, approvato a luglio 2020. La notizia principale è che le nuove disposizioni hanno di fatto raddoppiato il numero di migranti regolari ammessi in Italia, passando da quasi 31 mila unità a circa 70 mila.

Ma nonostante i commenti positivi di alcune associazioni di categoria, la decisione del governo ha raccolto anche diverse critiche, non solo dall’opposizione.

Da 15 anni si procede per “via transitoria”

In base al cosiddetto “Testo unico sull’immigrazione” (un decreto legislativo del 1998, pietra angolare legale del sistema di immigrazione italiano), ogni tre anni il presidente del Consiglio ha il compito di predisporre (art. 3) un documento programmatico in cui, tra le altre cose, sono stabiliti i criteri generali per la definizione dei flussi in ingresso in Italia degli immigrati regolari. Sulla base di questi criteri, entro il 30 novembre di ogni anno precedente a quello di riferimento del decreto, deve essere deciso il numero preciso di lavoratori ammessi nel nostro Paese, per occupazioni stagionali e non.

Come spiega il sito del governo, però, l’ultimo documento di programmazione triennale è stato approvato a maggio 2005, oltre 15 anni fa, ed era relativo al periodo 2004-2006. Da quella data in poi si è andati avanti solo in via di programmazione transitoria: di anno in anno il presidente del Consiglio ha approvato un “decreto Flussi”, l’ultimo dei quali (prima di quello dello scorso 21 dicembre) è stato firmato a luglio 2020 e pubblicato in Gazzetta ufficiale a ottobre 2020.

A dicembre 2020 la conversione in legge del cosiddetto “decreto Immigrazione” (che ha modificato parte dei due decreti “Sicurezza” voluti dall’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini quando era al governo) ha introdotto un paio di novità sulla programmazione in via transitoria dei Dpcm. Da un lato, è stato tolto il limite del 30 novembre entro cui doveva agire il presidente del Consiglio; dall’altro lato è stato tolto anche il vincolo in base al quale, nel determinare le quote di ingresso, si doveva fare riferimento al numero delle quote approvate l’anno precedente. All’epoca questa modifica ai decreti “Sicurezza” fu definita una «sanatoria criminale» da alcuni deputati della Lega, mentre per i favorevoli era stata eliminata una «inutile rigidità».

Che cosa c’è scritto nel nuovo decreto “Flussi”

Il Dpcm firmato da Draghi lo scorso 21 dicembre stabilisce che «per l’anno 2021» sono ammessi in Italia 69.700 lavoratori non comunitari «per motivi di lavoro subordinato stagionale e non stagionale e di lavoro autonomo». Il numero contenuto nel precedente decreto “Flussi”, per l’anno 2020, era di 30.850.

Sebbene le quote facciano riferimento al 2021, la presentazione delle domande dei lavoratori partirà, a seconda della tipologia di occupazione, dopo un certo numero di giorni dalla pubblicazione del Dpcm in Gazzetta ufficiale, al momento non ancora avvenuta. Le disposizioni attuative saranno invece contenute in una circolare congiunta dei ministeri dell’Interno, del Lavoro e delle Politiche agricole.

Dunque, come ha confermato l’ufficio stampa del Ministero dell’Interno a Pagella Politica, le pratiche si metteranno in moto in questi primi mesi del 2022 (un comunicato stampa è già atteso per la prossima settimana), mentre non sono da escludere altri interventi durante l’anno. Il 22 dicembre, nella consueta conferenza stampa di fine anno, Draghi ha infatti anticipato che molto probabilmente nel corso del 2022 sarà approvato un altro decreto “Flussi”.

Tra i quasi 70 mila lavoratori ammessi con il nuovo decreto, da un lato 20 mila posti sono riservati a cittadini provenienti da una lista di Paesi con cui l’Italia ha sottoscritto o sta per sottoscrivere accordi di cooperazione migratoria. Questi lavoratori potranno essere impiegati per occupazioni non stagionali nei settori dell’autotrasporto merci, dell’edilizia e del turistico-alberghiero. Dall’altro lato, 42 mila ingressi saranno destinati a cittadini non comunitari, residenti all’estero, per motivi di lavoro subordinato stagionale nei settori dell’agricoltura, del turismo e della ricezione alberghiera.

In valori assoluti, la quota dei 69.700 ingressi segna un cambio rilevante rispetto a quanto avvenuto nel recente passato. La cifra di 30.850 ingressi, fissata per il 2020, era infatti contenuta anche nei decreti “Flussi” per gli anni 2019, 2018, 2017 e 2016.

Ma non sempre tutte le quote sono state assegnate. Per esempio nel 2019, anno precedente alla pandemia, secondo i dati del Ministero dell’Interno è stato utilizzato circa il 76 per cento delle quote messe a disposizione per il lavoro stagionale.

Le reazioni al nuovo decreto

Come abbiamo anticipato, il nuovo decreto “Flussi” è stato accolto con posizioni piuttosto distanti tra loro.

Il 22 dicembre Coldiretti, una delle principali associazioni di categoria nell’agricoltura, ha per esempio commentato positivamente il provvedimento, scrivendo sul proprio sito: «L’arrivo del decreto “Flussi” 2021 è importante per salvare i raccolti e cogliere nel settore agroalimentare le opportunità che vengono dalla ripresa economica in un settore che resta ancora fortemente dipendente dal contributo dei lavoratori stranieri nonostante la crescita di interesse tra gli italiani».

Nel testo del Dpcm si legge che la scelta di aumentare le quote è stata dettata proprio tenendo conto «dei fabbisogni evidenziati dal mondo economico e produttivo nazionale».

Critiche sono arrivate in primo luogo dall’opposizione, in particolare da Fratelli d’Italia. Il 4 gennaio il deputato Andrea Delmastro ha per esempio scritto su Facebook: «Con il decreto “Flussi” il governo rischia di favorire la concorrenza al ribasso tra operai. Tutto il contrario di ciò che va fatto! La risposta deve essere formazione che vada incontro ai bisogni delle imprese e dei territori».

Altre perplessità sono state infine sollevate da alcuni esponenti della società civile. Secondo Nino Sergi, presidente della ong Intersos, attiva in progetti per le persone più vulnerabili, il nuovo decreto “Flussi” ha il difetto di rimanere all’interno di un «approccio emergenziale» nella gestione dell’immigrazione, senza un’«adeguata analisi dell’impatto sul mercato del lavoro».

Lo scorso 29 dicembre la giurista Vitalba Azzollini ha invece scritto sul quotidiano Domani che, al di là dell’aumento delle quote di ingresso, lo strumento del decreto “Flussi” ha gli stessi limiti del passato, quando «è stato usato talora in modo improprio per legittimare l’entrata “formale” di chi fosse già presente in Italia e lavorasse in modo irregolare».