No, l’Italia non è in «vantaggio» nella gestione della variante omicron

Ansa
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Il 19 dicembre, ospite a Che tempo che fa su Rai 3, il ministro della Salute Roberto Speranza ha dichiarato (min. -2:52:42) che l’Italia ha un «piccolo vantaggio» rispetto ad altre nazioni europee nella gestione della variante omicron, che secondo il ministro «non è ancora significativamente diffusa» nel nostro Paese. Speranza ha anche aggiunto che il 23 dicembre il governo farà nuove valutazioni sullo stato dell’epidemia in Italia, sulla base dei dati più aggiornati sulla variante omicron, che secondo gli esperti è molto più contagiosa delle varianti precedenti.

Numeri alla mano, la dichiarazione del ministro sul «vantaggio» italiano non poggia su dati affidabili.

Perché lo 0,2 per cento di omicron è un dato inutile

Il 15 dicembre l’Istituto superiore di sanità (Iss) ha pubblicato i risultati dell’ultima indagine sulla diffusione delle varianti del coronavirus nel nostro Paese. In base a questo rapporto, solo lo 0,2 per cento dei campioni analizzati era riconducibile alla variante omicron, mentre il restante 99,8 per cento alla variante delta.

Proprio la percentuale dello 0,2 per cento è stata citata il 15 dicembre alla Camera dal presidente del Consiglio Mario Draghi, per sostenere che l’Italia ha una «situazione relativamente favorevole» per quanto riguarda la diffusione della variante omicron.

Questa percentuale va però presa con molta cautela. Innanzitutto, c’è un primo margine di incertezza: secondo l’Iss, in base ai 2.100 campioni analizzati dalle regioni, la diffusione della variante omicron era compresa in una forbice tra lo zero e lo 0,9 per cento. In secondo luogo, è possibile che il metodo di selezione del numero comunque piuttosto basso di campioni analizzati non sia stato omogeneo e abbia portato portato a una stima non corretta. Questi problemi di rilevamento delle varianti sono noti all’Iss sin dalle prime indagini sulla diffusione delle varianti in Italia.

Va poi considerato che la percentuale dello 0,2 per cento si basa su campioni notificati il 6 dicembre. Stiamo parlando di persone che si sono infettate tra i sette e i dieci giorni prima, dunque alla fine di novembre, considerando che tra l’infezione e lo sviluppo dei sintomi passano in media cinque giorni, che tra l’inizio della sintomaticità e il tampone ne passano due o tre e che tra il tamponi e i risultati ne passa almeno uno. Detta altrimenti, i dati del 15 dicembre fotografavano quello che stava succedendo a fine novembre.

Anche ipotizzando che allora esistesse un qualche «piccolo vantaggio» nel contenimento della variante omicron, oggi è molto probabile che sia andato perduto, dal momento che la variante si diffonde in maniera molto veloce.

Che cosa succede negli altri Paesi

La situazione fuori dall’Italia mostra come abbia poco senso fare riferimento alla percentuale dello 0,2 per cento per sostenere che la variante omicron sia ancora poco diffusa in Italia.

Il Regno Unito è il Paese che sequenzia più campioni in Europa e che rende disponibili i dati raccolti con maggiore tempestività e trasparenza. Il 14 dicembre la variante omicron è diventata la variante più diffusa nel Paese, superando la variante delta, nonostante a fine novembre avesse una diffusione inferiore all’1 per cento. Le stime di Oliver Johnson, direttore del Dipartimento di statistica della University of Bristol, mostrano che il numero di contagi causato dalla variante omicron raddoppia nel giro di soli due giorni.

La variante omicron si diffonde dunque in modo estremamente veloce. In base alle evidenze scientifiche a disposizione, questo è dovuto al fatto che riesce a superare – meglio di quanto faccia già la variante delta – la protezione data dai vaccini (e dalla guarigione) contro l’infezione.

Dati molto simili a quelli britannici si stanno registrando anche in Danimarca, Germania e Stati Uniti, come rilevato dalle analisi dell’epidemiologo Trevor Bedford. In tutti questi Paesi la variante omicron si sta diffondendo rapidamente con un tempo di raddoppio tra i due e i tre giorni.

Si monitorano poco le varianti

In Italia si continua a tracciare troppo poco i contatti stretti dei contagiati e a sequenziare troppo poco i campioni dei nuovi casi. Negli ultimi undici mesi nel nostro Paese è stato sequenziato solo il 2,7 per cento del totale dei contagi notificati. Tra ottobre e novembre in alcune regioni non è stato neppure sequenziato alcun campione.

Oltre al basso numero di campioni sequenziati, i dati sul sequenziamento ci mettono diversi giorni per consolidarsi. Prima di essere affidabili, sono ormai “vecchi”, considerando che la situazione delle varianti è in costante cambiamento.

In generale, i tassi di sequenziamento in Italia non sono sufficienti per vedere l’evoluzione delle varianti e prendere delle decisioni rapide per eventualmente cercare di rallentare la diffusione.

Anche le indagini di prevalenza, come quella citata in precedenza, non sono sufficienti ad avere una fotografia precisa di quello che realmente sta accadendo a livello epidemico. Oltre ai problemi visti sopra, un grave limite di queste indagini è che vengono fatte senza una regolarità nel tempo.

L’indagine precedente a quella del 15 dicembre risaliva all’8 ottobre, con dati aggiornati a fine settembre. Una maggiore regolarità e frequenza nelle indagini di prevalenza permetterebbe di capire meglio cosa sta succedendo.

Come confermato anche dal ministro Speranza a Che tempo che fa, il Ministero della Salute ha deciso di effettuare una nuova indagine di prevalenza basandosi sui contagi notificati nella giornata del 20 dicembre. È la prima volta che vengono realizzate due indagini a così breve distanza. Per avere i risultati normalmente servirebbero diversi giorni, ma in tv Speranza ha lasciato intendere che i dati potrebbero essere già a disposizione per il 23 dicembre, giorno della nuova riunione del governo.

In conclusione

In Italia i dati sulla diffusione della variante omicron non sono affidabili e vanno presi con molta cautela. L’ultima indagine dell’Iss ha stimato una prevalenza della variante omicron dello 0,2 per cento, ma i dati si riferivano a infezioni avvenute a fine novembre.

Nel Regno Unito la variante omicron è diventata dominante la settimana scorsa, nonostante a fine novembre avesse una prevalenza simile a quella registrata dai dati italiani più recenti. Questo ci permette di ipotizzare che anche nel nostro Paese sia ormai su livelli consistenti di diffusione della variante omicron.

Dire che l’Italia ha un «vantaggio» sugli altri Paesi nella diffusione di questa variante, come fatto dal ministro Speranza, non sembra essere dunque supportato dai fatti.

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