Sono più di mille i comuni chiamati al voto per le prossime elezioni amministrative, in programma tra il 15 settembre e il 15 ottobre. In molte città, però, i cittadini non sanno ancora chi saranno i candidati e i principali partiti stanno avendo non poche difficoltà nel trovare figure idonee e disposte ad assumersi gli oneri e gli onori della carica di sindaco.

È il caso per esempio di Milano, dove, dopo i ripetuti dinieghi di Gabriele Albertini, la coalizione di centrodestra non ha ancora annunciato chi sfiderà l’attuale primo cittadino Giuseppe Sala (Europa Verde). O, ancora, è il caso di Bologna, dove le primarie di centrosinistra sono attese il prossimo 20 giugno e il candidato di centrodestra ancora manca.

A Roma e Torino i candidati sono stati definiti solo nelle ultime settimane, dopo non poche negoziazioni e numerosi rifiuti che hanno portato i partiti a far ricorso anche alle liste civiche pur di trovare un nome.

La mancanza di candidati politici volenterosi di mettersi in gioco per la propria città è stata spesso collegata alle tante, troppe mansioni che gravano sulle spalle dei sindaci, responsabili non solo dell’amministrazione tecnica e finanziaria di un comune ma anche degli aspetti di respiro ben più ampio legati alla salute e alla sicurezza pubblica.

Di recente hanno fatto discutere alcune vicende legate ai sindaci nel Nord Italia. Lo scorso gennaio la sindaca di Torino Chiara Appendino (Movimento 5 stelle) è stata condannata a un anno e sei mesi per la tragedia in Piazza San Carlo del 3 giugno 2017 in occasione della finale di Champions League, a causa della quale sono morte tre persone (ci torneremo). Più di recente, l’8 giugno, la sindaca di Crema Stefania Bonaldi (lista civica di sinistra) ha ricevuto un avviso di garanzia dopo che un bambino si è fatto male incastrando le dita nella porta tagliafuoco, forse non a norma, di un asilo comunale. E ancora il caso dell’ex sindaco di Lodi Simone Uggetti (Pd), condannato in primo grado nel 2016 per turbativa d’asta e poi assolto perché «il fatto non sussiste» più di cinque anni dopo, il 25 maggio 2021.

Le evidenti difficoltà dei partiti nel trovare candidati e i recenti casi di cronaca giudiziaria hanno contribuito a far nascere un’impressione generale, diffusa e condivisa da politici e giornalisti, secondo cui in Italia «nessuno vuole fare il sindaco».

Ma come stanno davvero le cose? Quali responsabilità gravano sui sindaci, e quali sono invece i privilegi? Quanto guadagnano i sindaci italiani? Abbiamo fatto il punto della situazione.

Tutta colpa dei sindaci?

Partiamo con il fare un breve ripasso: il sindaco è l’organo responsabile dell’amministrazione comunale, viene eletto ogni cinque anni dai cittadini e può rimanere in carica per un massimo di due mandati consecutivi. Nel 2014 il limite è stato esteso a tre mandati per i sindaci dei comuni con meno di tremila abitanti.

Le responsabilità dei sindaci sono chiarite negli articoli 50 e 54 del “Testo unico degli enti locali” (decreto-legge n. 267 del 18 agosto 2000, abbreviato in “Tuel”). Queste ricadono in due ambiti fondamentali: in primo luogo il sindaco di una città rappresenta il comune in cui è stato eletto (articolo 50), ma allo stesso stesso tempo è anche un «ufficiale del governo» (articolo 54) e assolve quindi a funzioni di competenza statale.

Rappresentante dell’amministrazione…

Nel primo caso, come rappresentante dell’ente che amministra, il sindaco convoca e presiede la giunta comunale, nomina i dirigenti e i responsabili degli uffici e dei servizi (ci torneremo) e organizza gli orari degli esercizi commerciali e degli uffici pubblici modificandoli in occasione, per esempio, di feste o manifestazioni. Inoltre, in caso di «emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale» il sindaco, come rappresentante della comunità interessata, può adottare provvedimenti urgenti.

Lo abbiamo visto con l’emergenza coronavirus, durante la quale molti sindaci hanno dovuto sfruttare questa prerogativa per imporre misure piu restrittive rispetto alle norme nazionali. Primo tra tutti il sindaco di Codogno – la cittadina in provincia di Lodi primo focolaio della pandemia di Covid-19 in Italia – Francesco Passerini (lista civica affiliata alla Lega), che già il 21 febbraio 2020 ha emesso diverse ordinanze per chiudere le scuole e gli uffici pubblici.

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… e ufficiale del governo

In quanto ufficiale del governo, invece, il sindaco coopera con le forze di polizia locali e statali e si occupa degli adempimenti richiesti in materia elettorale, di leva militare (diventata volontaria a partire dal 2005) e di statistica. Soprattutto, in caso di eventi che «minacciano l’incolumita pubblica e la sicurezza urbana» il sindaco adotta provvedimenti «contingibili e urgenti» che tutelino la popolazione ed evitino l’insorgere di comportamenti criminali, come la prostituzione o lo spaccio di stupefacenti.

Questi punti in particolare, contenuti nei commi 4 e 4-bis dell’articolo 54 del Tuel, sono alla base di molte controversie. Se infatti si verifica una circostanza pericolosa e il sindaco, pur cosciente dei potenziali rischi, non aveva fatto nulla per evitarla allora il primo cittadino può essere ritenuto responsabile delle conseguenze dell’evento (ovviamente il nesso di causa/effetto tra i due elementi – l’evento problematico e la mancata disposizione di misure adeguate da parte del sindaco – deve essere dimostrato).

È quello che è successo nel caso della sindaca di Torino Chiara Appendino (M5s) con gli eventi di piazza San Carlo. Vediamo perché.

Che cosa ci insegna il caso di Appendino a Torino

Il 27 gennaio 2021 Appendino, sindaca del capoluogo piemontese dal 2016, è stata condannata in primo grado a un anno e sei mesi di carcere insieme a una serie di suoi collaboratori, tra cui l’allora capo di gabinetto Paolo Giordana. La decisione è relativa alla decisione, promossa dall’amministrazione comunale, di trasmettere in piazza San Carlo, nel centro di Torino, la finale di Champions League del 3 giugno 2017 in cui si sfidavano Juventus e Real Madrid.

Ad un certo punto un tentativo di rapina a danno di alcuni tifosi portato avanti da alcuni ragazzi muniti di spray al peperoncino ha scatenato il panico nella piazza e i partecipanti hanno iniziato ad allontanarsi rapidamente. Nella calca migliaia di persone sono rimaste ferite e tre sono morte: la prima a pochi giorni di distanza, la seconda, rimasta paralizzata, qualche anno dopo e infine la terza vittima dopo più di due anni, nel maggio 2020.

Secondo la giudice per le indagini preliminari (Gip) di Torino Mariafrancesca Abenavoli, la sindaca Appendino avrebbe dovuto prevedere i potenziali rischi causati dall’assembramento e predisporre uscite di sicurezza e altre misure per evitare quello che poi è successo. È il tema della responsabilità omissiva impropria, regolamentato dall’articolo 40, comma 2 del codice penale, dove si legge: «Non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo».

In sostanza, secondo la Gip, Appendino ha trascurato il suo obbligo di salvaguardare la salute pubblica organizzando un evento in tempi troppo ristretti e senza preoccuparsi di mettere in atto tutte le misure di sicurezza necessarie.

Dall’altro lato, secondo la difesa della sindaca l’evento che ha causato la tragedia – il tentativo di rapina e il panico conseguente – era imprevedibile e quindi sarebbe stato impossibile evitarlo a priori.

Un ruolo fondamentale in queste situazioni, come emerge dalle tesi di accusa e difesa appena viste, lo gioca il concetto di “colpa”: un buon amministratore che applichi la normale diligenza richiesta dalla sua carica, avrebbe dovuto prevedere l’evento? Se la risposta è sì, la mancata previsione è colposa. Se la risposta è invece no, allora il sindaco non può essere considerato responsabile.

La decisione del tribunale di Torino (che non è definitiva, mancano ancora l’Appello e l’eventuale giudizio in Cassazione) è stata criticata anche dall’Associazione nazionale comuni italiani (Anci), presieduta dal sindaco di Bari Antonio Decaro, che in un comunicato stampa ha chiesto al governo di rivedere il Tuel perché, se la situazione non cambia, presto «non avremo più cittadini disposti ad assumere la carica di sindaco».

Quello di Torino non è l’unico caso in cui il sindaco di una città è stato condannato per inadempienze. Ricordiamo per esempio la vicenda che ha visto implicata Marta Vincenzi, sindaca di Genova tra il 2007 e il 2012, che è stata condannata in terzo grado (pende ora un ricorso davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo, o Cedu) a tre anni a causa di un’alluvione nel capoluogo ligure che nel 2011 ha causato sei vittime. Anche in quel caso il tribunale ha ritenuto che il comune fosse «impreparato e inerme» nella gestione della tragedia.

Secondo Riccardo Germano, dottore di ricerca in Scienze giuridiche presso l’Università Bicocca di Milano, in queste situazioni il problema di base sta nell’atteggiamento della magistratura che «tende a ricostruire i fatti con il senno del poi e a sostenere, a posteriori, che certe situazioni erano evitabili, rimproverando un soggetto perché egli avrebbe dovuto provvedere agli eventi, per quanto eccezionali». Una tesi analoga è alla base anche del ricorso alla Cedu degli avvocati che difendono l’ex sindaca Vincenzi.

Germano ha spiegato a Pagella Politica che nel Tuel «è molto facile trovare delle norme che sono interpretabili come obblighi in capo al sindaco di impedire degli eventi» e quindi, per quanto scrupoloso possa essere il sindaco in questione, «se capita una disgrazia è facile che il giudice gli dica: “Tu hai rispettato tutte le regole, ma avresti comunque dovuto immaginarne una in più”».

Carlo Ruga Riva, docente di diritto penale presso l’Università Bicocca di Milano, è della stessa opinione: «C’è un problema di cultura della magistratura, che deve cercare un capro espiatorio», ha detto a Pagella Politica.

Le parole dei sindaci

Oltre alle catastrofi causate dalla natura o dall’uomo, che per quanto gravi riguardano fatti isolati e fortunatamente poco frequenti, i sindaci sono esposti ad altri rischi legati più all’ordinaria amministrazione. Uno dei principali è il reato di abuso d’ufficio (art. 323 codice penale), la cui definizione secondo molti rimane troppo ampia e lascia grossi margini di interpretazione.

La norma prevede infatti la reclusione da uno a quattro anni per «i pubblici ufficiali o gli incaricati di pubblico servizio» che nello svolgimento delle proprie funzioni causino, per se stessi o anche per altri, un qualche danno o un «vantaggio patrimoniale», cioè cerchino di arricchirsi in modo indebito.

Il 9 febbraio la sezione campana di Anci ha sottoscritto un appello per chiedere di modificare, tra le altre cose, anche il reato d’abuso di ufficio proprio per definire con maggiore precisione quali sono le condotte che potrebbero portare all’incriminazione.

Secondo Decaro, presidente di Anci, «ogni volta che un sindaco firma un atto rischia di commettere un abuso d’ufficio. Se non firma, rischia l’omissione di atti d’ufficio». L’altro reato citato (l’omissione) si riferisce (articolo 328 c.p.) all’eventualità in cui un sindaco si rifiuti di firmare un determinato provvedimento, o continui a rimandarlo senza spiegare le motivazioni del ritardo.

Secondo i dati Istat le denunce per abuso d’ufficio – in totale, non soltanto quelle a carico dei sindaci – che finiscono con condanne definitive sono davvero poche. Nel 2017, per esempio, i casi asperti sono stati 6.582 e le condanne definitive solo 57, meno dell’1 per cento.

Oltre ai due reati appena visti ce ne sono diversi altri propri dei pubblici ufficiali o di persone in posizioni apicali, come corruzione, falso in bilancio, falso ideologico e turbativa d’asta.

«Amministrare il bene comune è qualcosa che ci riempie di orgoglio e continuiamo a farlo con tanto amore nei confronti della nostra comunità e delle nostre città», ha detto a Pagella Politica il sindaco di Treviso Mario Conte (Lega), aggiungendo: «Ci piacerebbe però poterlo fare con maggiore serenità e tutele».

Secondo Conte, «laddove ci sono delle responsabilità dirette da parte dei sindaci, che possono essere anche clamorose, è giusto che il sindaco paghi in prima persona, ma dove ci sono responsabilità indirette – come per esempio nel caso di Crema – chiediamo che ci sia un esonero delle responsabilità e che ci sia consentito affrontare questa esperienza con maggiore serenità. Il rischio è che le persone perbene, capaci, che avrebbero molto da dare al bene comune si tengono ben distanti da quella che può essere un’esperienza come questa. Sarebbe un peccato per il nostro Paese».

Sulla stessa linea il sindaco di Alzano Lombardo – comune in provincia di Bergamo tra i più colpiti dalla pandemia di Covid-19 – Camillo Bertocchi (gruppo Lega-Forza Italia-Fratelli d’Italia) che ha commentato a Pagella Politica: «La verità è che a tutti fa comodo avere una sagoma su cui sparare ogni volta che serve perché, diciamocelo, le istituzioni si ricordano dei sindaci solo quando ci sono da dare colpe».

Delegare, delegare

Un altro elemento importante da tenere in considerazione quando si parla delle responsabilità dei sindaci è il ruolo svolto da assessori e dirigenti comunali. Come detto, queste figure sono scelte dal sindaco stesso e si occupano di tematiche specifiche come l’urbanistica, lo sport, la cultura e così via.

Una volta che il dirigente viene nominato questo è «direttamente responsabile, in via esclusiva» (art. 107, comma 3 del Tuel) della gestione e dei risultati ottenuti dalle attività di sua competenza.

Di fatto, però, Ruga Riva – docente di diritto penale presso Unimib – ha spiegato a Pagello Politica che i dirigenti o gli assessori mantengono competenze principalmente su questioni tecniche, come per esempio la nomina del direttore di un cantiere o la supervisione dei lavori. I fondi necessari per qualsiasi iniziativa devono sempre essere stanziati in primo luogo dal sindaco: «Se non arrivano i soldi necessari per adottare determinate cautele, i tecnici non possono farci niente», ha detto Ruga Riva. E dunque la responsabilità, di fatto, resta in capo ai sindaci. …

Inoltre, secondo Riccardo Germano «la giurisprudenza italiana non si fa condizionare più di tanto da questa divisione formale» tra il sindaco e i suoi delegati, perché «alla fine si può sempre attribuire un fatto in via omissiva anche all’organo che detiene l’indirizzo politico [il sindaco] dicendo che questo avrebbe potuto scegliere meglio il dirigente [culpa in eligendo n.d.r.], oppure avrebbe dovuto supervisionare la sua attività [culpa in vigilando n.d.r.]».

I confini tra le responsabilità di sindaci, dirigenti e assessori sono motivo di discussione e richiedono spesso una valutazione caso per caso.

Che cosa c’entrano i media e i bilanci

Oltre, come abbiamo visto, alle grosse responsabilità legali di cui i sindaci si fanno carico, esistono anche altri fattori che potrebbero far desistere potenziali candidati dall’idea di amministrare un comune.

Tra questi troviamo l’ampia e complessa questione dei bilanci delle città, soprattutto quelle più grandi, che non di rado presentano buchi e pesanti debiti. Secondo OpenPolis, la città italiana più indebitata tra i comuni con almeno 200 mila abitanti è Napoli, che nel 2019 ha speso 350 euro per cittadino nella restituzione del debito pubblico, seguita da Torino (338 euro) e Firenze (136 euro).

Sono stati proprio i problemi nel bilancio del capoluogo campano che inizialmente hanno messo in dubbio la candidatura a sindaco dell’ex ministro dell’Istruzione Gaetano Manfredi, sostenuto da Pd e M5s. «Le passività superano abbondantemente i cinque miliardi di euro tra debiti e crediti inesigibili. La capacità di spesa corrente è azzerata» aveva dichiarato il 18 maggio, salvo poi cambiare idea dopo aver ricevuto garanzie proprio sul debito da parte dei due partiti di centrosinistra.

Altro fattore potenzialmente demotivante sta nell’attenzione attirata dalla stampa per i processi che coinvolgono i sindaci, a prescindere dalla loro risoluzione: le tesi dell’accusa o la condanna in primo grado ricevono normalmente una copertura mediatica molto superiore alle eventuali assoluzioni in Appello o Cassazione (questo, purtroppo, succede molto spesso in generale nella cronaca giudiziaria, a prescindere che siano coinvolti politici, personaggi famosi o comuni cittadini).

Fa eccezione a questa regola l’ex sindaco di Lodi, Simone Uggetti (Pd), la cui assoluzione in Appello – complici le scuse, che hanno creato diversi malumori nel suo partito, di Luigi Di Maio per i toni usati in passato – ha avuto tanta eco mediatica quanto la sua condanna. Ma intanto la condanna in primo grado per turbativa d’asta, nel 2016, lo aveva portato ad essere fortemente criticato dagli esponenti delle altre forze politiche, a finire su tutti i giornali e quindi a dare le dimissioni.

Quanto guadagnano i sindaci?

Oltre alle grosse responsabilità legali, al problema dei bilanci e alla sovraesposizione mediatica (specie in caso di indagini da parte dei pm), un punto dolente che potrebbe far demordere molti dal candidarsi riguarda gli stipendi.

I sindaci dei piccoli comuni, in particolare, guadagnano cifre molto basse (1.200 euro lordi) a fronte dei rischi che abbiano visto sopra.

Ma anche chi amministra le grandi città lamenta un trattamento economico inferiore a quello di altre cariche pubbliche – come i parlamentari o i consiglieri regionali – a fronte di responsabilità superiori.

Ad esempio il sindaco di Milano Giuseppe Sala (Europa verde) ha detto parlando con la stampa il 26 maggio scorso: «Non ho mai visto come in questa tornata elettorale una difficoltà così significativa a trovare dei candidati perché ci si prende dei rischi importanti, si guadagna poco».

Andiamo allora a vedere qual è lo stipendio di un sindaco.

Come anticipato, la risposta cambia in base al numero di abitanti della città amministrata e nei piccoli comuni il compenso è particolarmente basso. Le indennità standard sono state definite dal decreto-legge n.119 del 4 aprile 2000: si parte da circa 1.200 euro lordi per un comune con un massimo di mille abitanti e si procede a scaglioni fino ad arrivare a circa 7.800 euro per i sindaci di comuni con più di mezzo milione di abitanti.

Queste cifre sono poi state ridotte del 10 per cento con la legge finanziaria per il 2006 (articolo 1, comma 54), passando a 1.080 euro lordi per la prima fascia e poco più di 7 mila per l’ultima.

Gli stipendi vengono maggiorati poi del 5 per cento per i comuni la cui popolazione aumenta almeno del 30 per cento in base alle stagioni (per esempio, le località turistiche) e del 2 o 3 per cento se il comune presenta determinati parametri, come le entrate o la spesa pro capite, superiori rispetto alla media regionale.

È importante poi specificare che l’indennità viene dimezzata (art. 82, comma 1 del Tuel) per i sindaci che mantengono anche un altro lavoro dipendente, circostanza comune soprattutto tra gli amministratori di piccoli comuni.

Agli importi di base possono comunque aggiungersi i rimborsi di viaggio o altre spese legate alle attività istituzionali, che fanno salire la cifra finale. Così nel 2020 La sindaca di Roma – città con quasi 3 milioni di abitanti – Virginia Raggi (M5s), per esempio, ha guadagnato 9.763 euro lordi al mese mentre l’indipendente Marco Bucci, sindaco di Genova (565 mila abitanti) ha ricevuto 7.370 euro.

È evidente quindi come gli stipendi rimangano particolarmente bassi soprattutto per i piccoli comuni – considerando che dal punto di vista normativo le responsabilità dei sindaci rimangono le stesse – e salgono invece ben al di sopra della media per le metropoli.

Anche i grossi numeri però sono inferiori rispetto a quelli di altre cariche elettive, come ha detto il sindaco di Milano Beppe Sala. Per fare qualche esempio, l’indennità dei parlamentari italiani è fissata a 10.435 euro lordi, e quella degli europarlamentari a 8.895 euro.

Inoltre, per fare un confronto con le altri grandi città europee, il sindaco di Londra guadagna 152 mila sterline all’anno – quasi 13 mila sterline (15 mila euro) al mese, se calcolati su 12 mensilità – quello di Madrid 108 mila euro all’anno (9 mila euro mensili su 12 mensilità) e quello di Parigi 9.200 euro mensili lordi.

In conclusione

L’invio di un avviso di garanzia alla sindaca di Crema Stefania Bonaldi, unito alla condanna inflitta alla sindaca di Torino Chiara Appendino per i fatti di piazza San Carlo e alle difficoltà mostrate dai principali partiti nel trovare candidati disponibili per le prossime elezioni comunali hanno spinto molti sindaci, riuniti nell’Associazione nazionale comuni italiani, a chiedere di rivedere le norme perché «se si continua così […] non avremo più cittadini disposti ad assumere la carica di sindaco».

Le responsabilità degli amministratori locali sono in effetti particolarmente ampie e includono, oltre alle attività ordinarie, i problemi di salute e sicurezza pubblica. In particolare il tema della responsabilità omissiva impropria, regolata dall’articolo 40 del codice penale, secondo alcuni giuristi potrebbe creare il rischio che i sindaci vengano ritenuti responsabili di determinati eventi perché, a posteriori, non avevano fatto nulla per evitarli.

Oltre a questo i sindaci vanno incontro a una lunga lista di potenziali reati che interessano tutti gli ufficiali della pubblica amministrazione e le persone con ruoli di vertice, come l’abuso d’ufficio, la corruzione o il falso.

Un altro argomento di discussione riguarda gli stipendi dei sindaci. Questi variano in base alla popolazione della città amministrata, andando da poco più di mille euro lordi mensili per i comuni con meno di mille abitanti fino a 7 mila euro per le grandi città con più di mezzo milione di abitanti. A queste cifre possono poi sommarsi vari rimborsi spese, ma le cifre rimangono comunque basse soprattutto per gli amministratori di comuni piccoli.

A questi fattori bisogna aggiungere una serie di altre considerazioni che potrebbero far desistere i potenziali candidati: dai bilanci in rosso di molte città all’attenzione, spesso poco lusinghiera, che i sindaci ricevono dai mass media.