Il 17 maggio il quotidiano La Verità ha pubblicato un’intervista all’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Questi ha sostenuto, tra le altre cose, che i soldi del Recovery plan non sono «soldi europei» ma «debito nostro». Il passaggio – che è quello più netto, in altre parti dell’intervista Tremonti ha detto che queste risorse sono «soprattutto a debito» – è stato evidenziato da alcuni profili su Twitter e ripreso anche da alcuni onorevoli.

Al di là delle parole di Tremonti e del contesto in cui le ha pronunciate, il concetto che i soldi del Recovery plan siano debito italiano è fuorviante. I soldi del Recovery plan (più precisamente “Piano per la ripresa e la resilienza”, o Pnrr) sono debito fatto in primo luogo dall’Unione europea e poi distribuito agli Stati, o sotto forma di prestiti o di sovvenzioni. I prestiti sono quindi un debito che gli Stati avranno nei confronti dell’Unione europea – ma non sono il “solito” debito pubblico italiano – mentre le sovvenzioni a fondo perduto provengono dal bilancio comunitario e saranno ripagate da questo negli anni a venire. Il bilancio viene sì finanziato dagli Stati, ma non solo, e in futuro potrebbero esserci alcune significative novità. Andiamo a vedere i dettagli.

Che cos’è il Pnrr e chi lo finanzia

Il Pnrr è un pacchetto di investimenti e riforme che l’Italia ha presentato alla Commissione europea per accedere, in particolare, alle risorse del Dispositivo per la ripresa e resilienza (o Recovery and resilience facility, Rrf). Questo Dispositivo vale da solo 672,5 miliardi di euro, circa il 90 per cento delle risorse che l’Unione europea ha stanziato per il Next generation EU, il piano europeo da 750 miliardi per aiutare gli Stati a fronteggiare la crisi causata dalla pandemia di Covid-19 e che dura fino al 2026.

Questi 750 miliardi sono debito fatto dall’Unione europea sui mercati, a tassi particolarmente vantaggiosi considerata la sua elevata affidabilità.

Le risorse previste per l’Italia dal Rrf sono, al massimo, 191,5 miliardi. Come si legge nel Pnrr, il governo intende richiedere la totalità di queste risorse, «divise in 68,9 miliardi di euro in sovvenzioni e 122,6 miliardi di euro in prestiti».

Altri strumenti

Accanto al Pnrr in senso stretto sono poi previsti altri strumenti, come il fondo React-EU e il “fondo complementare”, che portano il totale degli investimenti dell’Italia nei prossimi anni a oltre 235 miliardi.

Il React-EU (47,5 miliardi di euro, di cui 13 miliardi per l’Italia) è un fondo dell’Unione europea, finanziato con il debito Ue, che verrà ripagato dal bilancio Ue e dunque è assimilabile alle sovvenzioni, di cui parleremo tra poco. Il “fondo complementare” è uno strumento interamente italiano, l’Unione europea non c’entra nulla, e questo sì – in base al decreto-legge n.59 del 6 maggio 2021 – verrà pagato col debito italiano.

Andiamo ora a vedere meglio prima i prestiti e poi le sovvenzioni.

I prestiti dell’Ue all’Italia

Come anticipato, per quanto riguarda i prestiti, non si tratta del “solito” debito pubblico italiano. L’Italia infatti non deve andare sul mercato a vendere i propri titoli di Stato, promettendo agli investitori determinati interessi in cambio. L’Italia in questo caso riceve dall’Unione europea dei prestiti che Bruxelles ha ottenuto sui mercati, a condizioni più vantaggiose di quelle che Roma avrebbe potuto ottenere da sola. Quando l’Italia dovrà restituire i prestiti ottenuti (dal 2028 in poi) potrà farlo nel modo che riterrà più opportuno: riducendo le spese, aumentando le entrate o emettendo debito proprio.

In ogni caso, pure in un momento come quello attuale con interessi più bassi sul debito pubblico italiano rispetto al passato, i risparmi possibili grazie alla Ue sono nell’ordine delle decine di miliardi, secondo un calcolo fatto dall’Osservatorio sui conti pubblici italiani.

Le sovvenzioni a fondo perduto

Già in passato abbiamo affrontato la questione del perché non sia errato qualificare, come del resto fa anche il governo nel Pnrr, le sovvenzioni europee come “a fondo perduto”.

In sintesi: le centinaia di miliardi che la Ue darà agli Stati non come prestiti, che quindi vengono restituiti dallo Stato beneficiario, ma come sovvenzioni, verranno ripagati dal bilancio dell’Ue tra il 2028 e il 2058. Questo bilancio è ad oggi in gran parte finanziato dagli Stati, in particolare da quelli ricchi (contributori netti), che versano più di quanto non ricevano direttamente dal bilancio stesso. L’Italia è tra questi.

Già ora, però, l’Italia dà un contributo netto (circa 5 miliardi all’anno nel bilancio 2014-2020) inferiore a quanto si prevede riceva, anche solo in sovvenzioni, dal Rrf (come detto 69 miliardi in sei anni, 11,5 miliardi all’anno). Ma le cose potrebbero essere ancora più vantaggiose in futuro.

La Commissione infatti ha proposto, proprio a proposito del Next Generation EU, che in futuro vengano significativamente aumentate le fonti di finanziamento del bilancio Ue diverse dai contributi statali. A questo fine è già stata introdotta dal 1° gennaio 2021 una nuova tassa sugli imballaggi di plastica non riciclata. Ma altre nuove fonti di finanziamento verranno proposte a breve dalla Commissione, a giugno 2021. Vediamo quali sono.

Le nuove fonti di finanziamento per l’Ue

In particolare sono attese proposte sul Carbon border adjustment mechanism (o “Meccanismo di adeguamento del carbonio alla frontiera”), una tassa che andrebbe a colpire le importazioni di beni prodotti al di fuori dell’Unione europea, in Paesi che applicano norme meno severe per quanto riguarda le emissioni; sul Digital levy, una tassa che colpisca i fatturati dei colossi del web che sfuggono alle regole esistenti sulle tasse delle società; e sul EU Emissions Trading System, un sistema che esiste già nell’Unione europea dal 2005 ed è pensato per ridurre le emissioni di gas serra da parte delle industrie, delle società che producono energia e dell’aviazione civile. Nel sistema Ets, a queste imprese viene imposto un limite di emissioni che possono fare – che cala progressivamente, assicurando la riduzione dell’inquinamento – ed è poi consentito comprare o vendere “quote” di emissioni inquinanti, all’interno dei limiti fissati. La Commissione vorrebbe ampliarne la portata.

Queste tre nuove fonti di finanziamento dovrebbero diventare operative non oltre il 1° gennaio 2023. Entro giugno 2024, inoltre, la Commissione dovrà presentare proposte per altre nuove fonti di finanziamento, come una tassa sulle transazioni finanziarie, un contributo finanziario per le società e una nuova base imponibile per le società.

Queste nuove fonti di finanziamento dovrebbero entrare in vigore probabilmente prima del 2028, cioè quando il bilancio Ue dovrà iniziare a restituire ai mercati i soldi presi in prestito per il Next Generation EU, in particolare per le sovvenzioni a fondo perduto.

Questo significa, in concreto, che una parte significativa dei soldi di cui avranno beneficiato gli Stati membri con il Next Generation EU saranno ripagati dalle nuove tasse europee che vanno a colpire le produzioni inquinanti extracomunitarie, i colossi del web, le transazioni finanziarie e via dicendo.

In conclusione

La vulgata secondo cui i soldi che l’Italia riceve dall’Europa siano sostanzialmente debito italiano – che recentemente ha trovato eco in un’intervista dell’ex ministro Giulio Tremonti a la Verità – è fuorviante.

I soldi con cui viene finanziato il Recovery plan (o Pnrr), e anche il React-EU, sono debito che fa l’Unione europea sui mercati. Questi soldi vengono dati agli Stati membri in due modi: prestiti e sovvenzioni.

I prestiti, 122,6 miliardi su 191,5 totali del Rrf per l’Italia, vanno restituiti all’Ue e quindi sono di fatto debito. Ma non è il solito debito pubblico dell’Italia coi mercati, anzi dovrebbe avere condizioni nettamente più vantaggiose. Inoltre deciderà l’Italia come ripagare l’Ue dal 2028 in poi, se aumentando le entrate del proprio bilancio, o riducendo le uscite o emettendo debito proprio.

Le sovvenzioni verranno poi ripagate nel futuro (2028-2058) dal bilancio Ue, che è finanziato solo in parte dagli Stati e secondo la loro ricchezza. Anche alla luce delle nuove fonti di finanziamento per questo bilancio che dovrebbero entrare in vigore prima del 2028, si può dire che una parte – al momento non quantificabile – dei soldi che l’Italia riceverà, sarà pagata da altri.