Libertà di stampa: in vent’anni l’Italia ha fatto pochi passi avanti

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Il 3 maggio è la giornata mondiale della libertà di stampa. La ricorrenza è stata istituita nel 1993 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, su raccomandazione della Conferenza generale dell’Unesco.

Il 2021 è poi il ventesimo anno in cui l’organizzazione internazionale no-profit Reporters sans frontières (Rsf) pubblica il suo World Press Freedom Index, una classifica di quasi tutti gli Stati del mondo (nell’edizione del 2021 ne vengono conteggiati 180) in base alla libertà di stampa al loro interno.

Il grado di libertà di stampa viene calcolato incrociando le risposte di esperti a un questionario ideato da Rsf (che verte ad esempio su pluralismo, indipendenza, trasparenza dei media) con analisi quantitativa sul numero di abusi e atti di violenza contro i giornalisti nel periodo considerato. Una metodologia non esente da critiche.

L’Italia si posiziona al quarantunesimo posto e «il principale problema» che si sono trovati ad affrontare i giornalisti italiani nel corso del 2020 sono stati «i negazionisti del coronavirus – un insieme variegato che include teppisti, attivisti no mask, neofascisti, ultrà, “anarchici” e infiltrati del crimine organizzato – che hanno spesso minacciato o attaccato fisicamente i cronisti», in particolare durante la seconda ondata.

Ai primi posti troviamo – come anche nelle precedenti edizioni – i Paesi del Nord Europa, in particolare Norvegia, Finlandia e Svezia. In fondo alla classifica troviamo tre dittature: Turkmenistan, Corea del Nord ed Eritrea. La Cina è quartultima.
Grafico 1. La posizione dell’Italia nel World Press Freedom Index di Reporters sans frontières tra il 2002 e il 2021 – Fonte: Reporters sans frontières
Come si vede l’Italia è quasi sempre stata tra la quarantesima e la sessantesima posizione, con l’eccezione – positiva – del 2007 quando è stata trentacinquesima e con quella negativa del biennio 2015 e 2016, quando è scesa rispettivamente in settantatreesima e settantasettesima posizione.

Che cos’era successo in quel periodo? Secondo i rapporti di Rsf dell’epoca, due sono stati gli elementi a peggiorare gravemente la situazione della libertà di stampa in Italia: le intimidazioni mafiose ai giornalisti, con attacchi fisici e a proprietà (case e auto), e le cause per diffamazione infondate, spesso da parte di figure pubbliche, con il rischio di avere un effetto-censura. Nel 2016 in particolare le cause contro i giornalisti che stavano portando avanti le indagini sugli scandali in Vaticano (VatiLeaks) hanno avuto un ruolo nella cattiva prestazione del nostro Paese.

Il miglioramento nel 2017 (cinquantaduesima posizione) è quindi dipeso dal proscioglimento di numerosi giornalisti, tra cui proprio quelli coinvolti nel VatiLeaks.

Gli altri grandi Paesi Europei?

Se guardiamo agli altri grandi Paesi europei, nell’indice 2021 fanno tutti meglio dell’Italia. La migliore è la Germania, al tredicesimo posto, seguita dalla Spagna (ventinovesimo posto), dal Regno Unito (trentatreesimo) e dalla Francia (trentaquattresimo).

Venti anni fa, nel 2002, l’Italia (quarantesima), era comunque l’ultima tra i grandi Paesi europei. La Germania arrivava settima, la Francia undicesima, il Regno Unito ventiduesimo e la Spagna ventinovesima.

Ora e allora

Il tema della libertà di stampa è uscito dall’agenda politica recente, ma nell’anno della prima uscita del World Press Freedom Index era molto più all’ordine del giorno: anche perché allora il principale problema per la libertà di stampa nel Paese secondo Rsf (e non solo) aveva nome e cognome, Silvio Berlusconi.

Nel rapporto di Rsf dell’ottobre 2002 si legge infatti che «il presidente del Consiglio sta aumentando le pressioni sulle reti della tv pubblica, ha nominato suoi sostenitori per aiutarlo a gestirle e continua a mescolare il suo ruolo di capo del governo con l’essere il capo di un gruppo di mass media privato», cioè Mediaset.

Ad aprile 2002, pochi mesi prima della pubblicazione dell’indice, ricordiamo che c’era stato il famoso “editto bulgaro” di Berlusconi, quando l’allora presidente del Consiglio aveva esplicitamente chiesto alla nuova dirigenza Rai – nominata dalla sua maggioranza – di non far più lavorare nella tv pubblica i giornalisti Enzo Biagi e Michele Santoro, e il comico Daniele Luttazzi.

In ogni caso, anche con la progressiva scomparsa dell’ex Cavaliere dalla scena pubblica, la posizione dell’Italia non è sensibilmente migliorata, anzi.

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