In una intervista al programma radiofonico La Zanzara, il senatore di Forza Italia, Antonio Razzi, tesse le lodi del dittatore nordcoreano Kim Jong-un definendolo “una bravissima persona” e sottolineando in modo particolare i suoi sforzi per aiutare i giovani. La conversazione, alquanto surreale, raggiunge un certo apice quando Razzi dichiara che “Lì (in Corea del Nord) non c’è assolutamente disoccupazione” (al minuto 3.05 circa).






Intervista a Razzi – La Zanzara 7 gennaio 2016



Per quanto l’affermazione sembri apparentemente assurda, ci siamo cimentati – su suggerimento di un lettore – in un fact-checking per nulla scontato. Qualunque tipo di statistica relativo alla Corea del Nord è infatti da prendere con estrema cautela considerando l’assenza di trasparenza del regime e la forte tendenza a manipolare le informazioni che escono dal Paese.



La Banca Mondiale riporta un tasso di disoccupazione pari a 4,1% per il 2014 (Korea Dem Rep). Le stime dell’Ilo* – riportate sempre nel database della Banca Mondiale – danno un tasso del 4,6% per il 2013. Cliccando sulla variabile (Metadata), i dettagli riportati non danno informazioni specifiche su come i dati siano stati raccolti in Nord Corea – se si tratti, ad esempio, di elaborazioni su statistiche ufficiali promulgate dal governo o da istituti indipendenti. Andando direttamente sul sito dell’Ilo non si risolve molto: il database Ilostat risulta vuoto per la Corea del Nord (Korea Rep People’s Dem of). Altri database (sempre Ilo) come Normlex (Information System on International Labour Standards) escludono completamente il Paese dalla lista. Se si va nella sezione “Countries covered” relativa alla regione asiatica si nota, infatti, che la Corea del Nord non è un Paese coperto dall’Ilo. Human Rights Watch ha sottolineato il problema spiegando che il Paese in oggetto è rimasto ormai una delle poche nazioni a non far parte dell’organizzazione internazionale, perpetrando enormi violazioni dei diritti del lavoratori. Il World CIA Factbook riporta invece un tasso di disoccupazione del 25,6% nel 2013.



In un articolo ormai un po’ datato (2007), Kim Min Se, reporter del DailyNK – un giornale online specializzato sulla Corea del Nord – parlava del mito dell’assenza di disoccupazione come di una bugia propagandistica del regime ormai diffusa da tempo. La disoccupazione è invece un fenomeno esistente, che ha cambiato faccia nel corso dei decenni. Negli anni ’80 e ’90 erano senza occupazione coloro che rifiutavano i lavori assegnati dal governo in contesti disumani e senza le adeguate misure di sicurezza (ad esempio nelle miniere). Per mantenersi e contrastare la carestia, molti di questi cittadini hanno iniziato a commerciare grano con la Cina, cosa che ha fatto valutare al governo la possibilità di imporre un divieto al commercio privato di grano – obbligando tutti a tornare ai posti di lavoro assegnati dal regime e curando così il crescente tasso di disoccupazione.



Dalla fine del secolo scorso invece le aziende stesse hanno incominciato ad essere in difficoltà e di conseguenza hanno smesso di assumere nuovi dipendenti. Questo anche perché pare che le autorità governative chiedano ai manager di distribuire razioni di cibo ai dipendenti (cosa che prima veniva fatta dal governo), rendendo così più oneroso per le aziende assumere nuovo personale. Molti dei disoccupati sono ex-militari senza particolari competenze per il mondo del lavoro e donne che hanno ottenuto il diploma scolastico.



Di recente l’economia nordcoreana ha mostrato segni di miglioramento proprio grazie all’iniziativa privata: secondo una previsione di un think-tank di Seoul, la Corea del Nord sarebbe potuta arrivata a crescere del 7,5% nel 2015, decisamente meglio dell’1% annuo della decade precedente. Anche se il regime sembra più reagire a questi cambiamenti che non a guidarli, alcune riforme che garantiscono maggior autonomia ai manager e agli agricoltori sono state introdotte a partire dal 2011. I segnali di questi cambiamenti sono maggiormente visibili nelle grandi città, in particolare la capitale Pyongyang.



Uno studio condotto da due ricercatori della Bank of Korea, intitolato “The Effects of Inter-Korean Integration Type on Economic Performance: the Role of Wage Policy”, ha delineato un parallelismo tra la condizione della Corea del Nord e la Germania dell’Est, proponendo, a partire dalla storia tedesca, diversi modelli di integrazione tra le due Coree. Secondo queste proiezioni, il tasso di disoccupazione su 20 anni varierebbe da 1,6% se avvenisse una integrazione su modello Sar (regione a statuto speciale), a 17,7% (modello federale), a 36,4% (modello unitario). Lo studio non fornisce però stime precise di quale sia la condizione attuale nel Paese.



Anche se rimane difficile valutare quante siano le persone senza lavoro, quello che è certo è che esistono – e non sembrano passarsela per niente bene. Una dissidente fuggita nel 2009 ha spiegato come chiunque risulti senza lavoro sia punibile per legge per il solo fatto di essere disoccupato e venga portato in campi di lavoro forzato (rodong danryeongdae) per un periodo che va da 3 a 6 mesi. Dunque, i disoccupati si ritrovano spesso impiegati, anche se in condizioni di schiavitù: che sia questa “particolare” soluzione a spingere il senatore Razzi a credere che la disoccupazione non esista in Corea del Nord?





*selezionando “Korea Dem Rep” sotto “Country” e Unemployment total (% of total labor force) modeled Ilo estimate” sotto “Series”