Il 18 dicembre circa 68.500 tra sindaci e consiglieri comunali, provenienti da oltre 5.500 comuni italiani, saranno chiamati al voto per eleggere 31 presidenti di provincia e 886 consiglieri provinciali.

Sebbene da tempo siano finite un po’ nel dimenticatoio, le province in Italia esistono ancora e le elezioni alle porte riguarderanno la rappresentanza di oltre 32,5 milioni di cittadini italiani: più della metà di tutta la popolazione residente nel nostro Paese.

Nonostante il loro ruolo apparentemente marginale, alle province sono ancora attribuite diverse funzioni di primo piano. E il governo sembra intenzionato a voler introdurre alcune novità.

Che ruolo hanno le province oggi

Nel 2014 è stata approvata la cosiddetta “legge Delrio” – dal nome del deputato del Partito democratico ed ex ministro Graziano Delrio – che ha riformato il sistema delle province e istituito dieci città metropolitane, più quella di Roma capitale, affidando loro compiti più o meno simili. In concreto l’obiettivo di questo provvedimento era duplice: semplificare i meccanismi istituzionali e ridurre i costi. Già prima del 2014, il governo Monti aveva introdotto tra il 2011 e il 2012 alcune novità per limitare il ruolo delle province e modificarne il sistema elettorale, incontrando però il giudizio negativo della Corte costituzionale.

Come spiega un recente dossier della Camera, nello specifico la legge Delrio ha ridefinito le funzioni fondamentali delle province, individuate principalmente in due settori: quello infrastrutturale, con la pianificazione dei servizi di trasporto in ambito provinciale e la gestione delle strade provinciali, e quello scolastico, con la programmazione provinciale della rete scolastica e la gestione dell’edilizia scolastica, (in entrambi i casi per quanto riguarda l’istruzione superiore di secondo grado). Un’altra funzione lasciata in mano alle province è stata quella di supporto tecnico-amministrativo ai comuni.

Come ha sottolineato a maggio 2020 Openpolis – fondazione che promuove una maggiore trasparenza in politica – dal 2014 in poi il riordino delle competenze provinciali ha subito un percorso parecchio travagliato, con ritardi e «forti differenze» tra le varie regioni. Uno dei limiti principali della riforma è stato quello di essere stata pensata come un intervento transitorio, in vista del referendum costituzionale del 2016, che chiedeva la definitiva eliminazione delle province dalla Costituzione. Il referendum non è però passato e dunque si è subito aperto un «dibattito», ha evidenziato il dossier della Camera, sull’«opportunità di un nuovo intervento legislativo». Salvo piccoli interventi di poco conto, negli ultimi cinque anni le cose non sono cambiate.

Ora, secondo quanto riportato dal Sole 24 Ore il 13 dicembre, il governo sarebbe pronto a presentare un disegno di legge per correggere le storture createsi nel tempo. Tra le opzioni in campo, ci sarebbe proprio quella di definire meglio le funzioni fondamentali in capo alle province.

Come funziona il voto

Tra le altre cose, la “legge Delrio” aveva anche abolito l’elezione diretta del presidente di provincia e dei consigli provinciali. Al suo posto era stata introdotta l’elezione indiretta: come avverrà il prossimo 18 dicembre, presidenti e consiglieri sono eletti dai sindaci e dai consiglieri dei comuni della provincia. La carica di presidente provinciale dura quattro anni, mentre quella di consigliere due anni. Sono eleggibili a presidente tutti i sindaci della provincia, che da settimane gareggiano tra loro in una vera e propria campagna elettorale, seppure tra i “palazzi”.

Tra i nomi più noti a livello nazionale, c’è per esempio la candidatura di Claudio Scajola, più volte ministro e attuale sindaco di Imperia, che aspira a diventare presidente dell’omonima provincia. Oppure la candidatura a presidente della provincia di Biella di Francesca Delmastro, sindaca del piccolo comune di Rosazza e sorella del deputato di Fratelli d’Italia Andrea Delmastro.

Il consiglio provinciale – organo di indirizzo e controllo dell’operato del presidente – è composto da un numero di consiglieri che varia in base alla popolazione residente nella provincia. Se gli abitanti sono più di 700 mila, i consiglieri sono 16, numero che scende a 12 nelle province con una popolazione tra i 300 mila e i 700 mila abitanti. Le province con meno di 300 mila residenti hanno invece un consiglio provinciale con 10 membri.

Come spiegano le Faq dell’Unione province d’Italia (Upi) – l’associazione che rappresenta tutte le province italiane – le elezioni sia del presidente che consiglio provinciale sono «totalmente svincolate tra loro» (per esempio, se un candidato presidente perde, non entra automaticamente in consiglio provinciale) e non hanno bisogno del raggiungimento di un quorum di votanti per essere considerate valide.

Secondo quanto riportato da fonti stampa, il disegno di legge all’esame del governo vuole, tra le altre cose, rendere uniformi le durate dei mandati di presidenti e consiglieri (a 5 anni) e reintrodurre le figure di tre assessori provinciali (quattro per le province con più di un milione di abitanti), con un’indennità mensile pari a quella del 50 per cento dei loro omologhi comunali.

Una proposta simile è stata presentata a ottobre scorso anche dal senatore del Partito democratico Dario Parrini, ma al momento il testo non è stato ancora assegnato a nessuna commissione di Palazzo Madama.

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