Aggiornamento 26 novembre, ore 10:15 – Il “trattato del Quirinale” è stato firmato da Draghi e Macron nella mattinata del 26 novembre, alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Qui il testo completo dell’accordo.

Aggiornamento 26 maggio 2022, ore 9:15 – Il 25 maggio la Camera dei deputati ha approvato la ratifica del “trattato del Quirinale”, che passa dunque all’esame della Senato.

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Tra il 25 e 26 novembre il presidente del Consiglio Mario Draghi e il presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron firmeranno a Roma il cosiddetto “trattato del Quirinale”, un trattato per migliorare la cooperazione tra Italia e Francia su una serie di questioni, che vanno dall’economia all’immigrazione, fino alla transizione ecologica.

Al momento il testo dell’accordo non è stato ancora stato reso pubblicamente disponibile, ma negli ultimi giorni diversi quotidiani hanno divulgato alcune indiscrezioni sulla struttura dell’intesa, con il centrodestra che si è diviso sulla questione. Lega e Fratelli d’Italia hanno parlato di scarso coinvolgimento del Parlamento, mentre Forza Italia ha appoggiato l’accordo. Sul fronte opposto, il Partito democratico e il Movimento 5 stelle hanno preferito, per il momento, non entrare nel dibattito.

Ma che cos’è e come è nato il “trattato del Quirinale”? Quali sono i passaggi necessari per la sua attuazione? Abbiamo cercato di fare un po’ di chiarezza.

Di che cosa stiamo parlando

Secondo quanto riferito da Repubblica, il nome ufficiale dell’intesa è: “Trattato fra la Repubblica francese e la Repubblica italiana per una cooperazione bilaterale rafforzata”.

Il 21 novembre, il Corriere della Sera ha ricostruito quella che dovrebbe essere la composizione del “trattato del Quirinale”. Il testo è composto da una sessantina di pagine. Le prime trenta comprendono una premessa, in cui sono chiariti gli obiettivi comuni, e undici capitoli su altrettante questioni nelle quali Francia e Italia si impegneranno a collaborare. Questi capitoli riguardano gli esteri, la difesa, l’Europa, l’immigrazione, la giustizia, lo sviluppo economico, la sostenibilità e la transizione ecologica, lo spazio, l’istruzione, la formazione e la cultura, la gioventù, la cooperazione transfrontaliera e la pubblica amministrazione.

Le ultime trenta pagine del “trattato del Quirinale” saranno invece dedicate al programma di lavoro, in cui i governi francese e italiano spiegheranno nello specifico come migliorare la cooperazione sulle varie tematiche affrontate nell’intesa.

Un po’ di storia

L’idea di sottoscrivere un nuovo trattato di collaborazione tra Italia e Francia non è nuova: è stata lanciata il 27 settembre 2017 in un incontro a Lione tra l’allora presidente del Consiglio Paolo Gentiloni ed Emmanuel Macron, da maggio di quell’anno presidente francese. Al vertice di Lione Macron aveva proposto la firma di un’intesa tra tra i due Paesi, dichiarando: «Si può immaginare un “trattato del Quirinale”, come quello dell’Eliseo», un accordo di cooperazione che la Francia aveva siglato nel gennaio del 1963 con la Germania dell’Ovest.

Secondo alcuni commentatori, all’epoca Macron aveva avanzato la proposta di un nuovo trattato per attenuare le divisioni tra i due Paesi, principalmente su due questioni: la gestione dei flussi migratori e la decisione – da parte dello stesso Macron – di nazionalizzare i cantieri navali del porto di Saint Nazaire. Secondo altri – tra cui l’analista di Limes Dario Fabbri – l’obiettivo ultimo del presidente francese sarebbe quello di creare un asse franco-italiano «per bilanciare la superiorità economica tedesca» e scongiurare che, nel futuro post-pandemia, la Germania ritorni a imporre politiche di bilancio più severe.

Al netto delle intenzioni di Macron, i lavori per la stesura del “trattato del Quirinale” sono iniziati il 16 febbraio 2018, quando si è tenuta la prima riunione del gruppo dei sei cosiddetti “saggi” nominati dai governi francese e italiano per la scrittura del testo.

I “saggi” nominati dall’Italia sono stati Franco Bassanini, più volte ministro e sottosegretario, Marco Piantini, consigliere per gli Affari europei di Gentiloni e Paola Severino, rettore dell’Università Luiss Guido Carli. Quelli della Francia sono stati Sylvie Goulard, ex ministra della Difesa, Gilles Pécout, rettore dell’Académie de Paris, e Pascal Cagni, presidente di Business France, l’agenzia per lo sviluppo internazionale delle imprese francesi. La supervisione dei lavori è stata affidata all’allora sottosegretario alla Affari esteri italiano Sandro Gozi (oggi in Italia viva) e alla ministra degli Esteri francese Nathalie Loiseau. Curiosità: Gozi è oggi un parlamentare europeo del gruppo politico liberale Renew Europe ma, pur essendo cittadino italiano, è stato eletto in Francia con Renaissance, lista promossa dal presidente francese Macron alle elezioni europee del 2019.

All’inizio, il trattato sarebbe dovuto essere firmato nell’autunno 2018, ma tra l’estate del 2018 e l’estate 2019 i rapporti tra Francia e Italia si sono deteriorati, con la nascita del primo governo Conte. I lavori per la scrittura del trattato sono poi ripartiti nel febbraio 2020, con il secondo governo Conte II, in particolare dopo l’incontro a Napoli tra il primo ministro Conte e lo stesso Macron.

Più di un anno dopo è arrivato l’annuncio della firma del “trattato del Quirinale”, fissata a Roma per il 25 novembre. La notizia ha destato in poche ore le critiche della destra, soprattutto di Fratelli d’Italia e Lega, mentre i principali esponenti del centrosinistra e del Movimento 5 stelle hanno in generale preferito non commentare.

Il centrodestra si divide

Le critiche della Lega

Uno dei parlamentari più critici rispetto al “trattato del Quirinale” è stato il senatore della Lega Claudio Borghi. Il 16 novembre Borghi ha scritto sul suo profilo Twitter: «Spero non sia vera la notizia che vede Macron a Roma settimana prossima per firmare un trattato, cosiddetto del Quirinale, di cui nessuno sa nulla nonostante molteplici interrogazioni». Con tono polemico, il senatore si è chiesto: «Ricominciamo con il vendere il mare?».

Con quest’ultima domanda, Borghi ha fatto riferimento a una questione che la destra ha rilanciato più volte in passato e riguarda il cosiddetto “accordo di Caen”, un trattato firmato nel 2015 che avrebbe dovuto definire una volta per tutte i confini marittimi di Italia e Francia, fino ad allora regolati da una serie di consuetudini e patti siglati in passato.

Come abbiamo spiegato in passato, è vero che l’accordo di Caen prevedeva la cessione da parte dell’Italia di una fetta del Mar Ligure, ma questo accordo non è mai entrato in vigore, perché non è mai stato ratificato dal Parlamento italiano. In più, la definizione dei confini marittimi prevista nell’accordo di Caen non si sarebbe basata su una scelta arbitraria («una svendita dei nostri mari», come sostenevano alcuni esponenti leghisti tra i quali lo stesso Borghi) ma sulla base di standard riconosciuti a livello internazionale.

Nonostante ciò, diversi politici della destra come lo stesso Borghi sono tornati a far leva su questa questione in merito alla firma del “trattato del Quirinale” che, al pari dell’accordo di Caen, è stato frutto del dialogo tra i governi e i ministeri degli Esteri di Francia e Italia e per ora non è stato esaminato dal Parlamento.

Proprio per questa mancanza di coinvolgimento di Camera e Senato, Borghi ha presentato un’interrogazione alla Presidenza del Consiglio e al ministero degli Affari esteri per chiedere se è vero «che l’Italia e la Francia siano in procinto di firmare il cosiddetto “”trattato del Quirinale”” e come sia possibile che il Parlamento italiano non sia stato informato neanche sommariamente di tale avvenimento».

L’opposizione di Fratelli d’Italia

Sulla stessa linea di Borghi sono le critiche avanzate da Fratelli d’Italia. In un post del 19 novembre, la presidente del partito Giorgia Meloni ha scritto di essere preoccupata perché, a suo dire, «nessuno» ha visto «ufficialmente» il testo del “trattato del Quirinale”. Anche la Meloni ha poi sollevato il pericolo di un accordo simile a quello di Caen, «con il quale l’Italia avrebbe ceduto, se Fratelli d’Italia non avesse sollevato lo scandalo, pregiate parti delle sue acque nazionali alla Francia».

Le critiche avanzate da Meloni sono state riprese dalle pagine social di Fratelli d’Italia e anche dal deputato di Fdi Andrea Delmastro, che ha definito «allucinante» il fatto che il «Parlamento non è ancora stato informato su nulla». Il deputato ha quindi chiesto al ministro degli Esteri Luigi Di Maio di andare a riferire in Parlamento in merito al trattato, anziché «andare a braccetto con Macron».

Tuttavia, non tutto il centrodestra è compatto nella critica al “trattato del Quirinale”. Come riferito dal Messaggero il 21 novembre, il presidente di Forza Italia Antonio Tajani ha detto che non c’è nulla di strano se il Parlamento non conosce ancora il testo del trattato perché questo è previsto dalla Costituzione. Infatti, ha detto Tajani, «le camere ratificano i trattati internazionali, non li scrivono».

Che cosa prevede la Costituzione sui trattati internazionali

Le critiche di Fratelli d’Italia e Lega si appoggiano su un fatto reale, cioè che il Parlamento non sia ancora stato informato ufficialmente sui contenuti del trattato in questione. Questo fatto però non è di per sé straordinario: il Parlamento, in base all’articolo 80 della Costituzione, viene coinvolto normalmente dopo la stesura dell’accordo e la sua firma, e nemmeno sempre.

Se, infatti, il trattato ha determinate caratteristiche descritte dall’articolo 80 (ad esempio, ha natura politica, o modifica delle leggi o ha ricadute finanziarie), il Parlamento deve approvare una legge ordinaria che autorizzi il Presidente della Repubblica – che è il soggetto titolare del potere di firma, in base all’articolo 87 della Costituzione – a ratificare il trattato stesso. In seguito alla ratifica – e non dopo la sola firma – il trattato entra ufficialmente in vigore.

Al Parlamento, per semplificare, viene insomma data la possibilità di “prendere o lasciare” il contenuto dell’accordo, che è frutto delle negoziazioni tra due o più Stati. Il suo coinvolgimento nella fase delle trattative non è necessario (ma nemmeno escluso).

Questo processo di ratifica vale anche per il “trattato del Quirinale”, che dopo la firma del 25 novembre dovrà essere ratificato dai due rami del Parlamento per poter essere firmato dal Presidente della Repubblica e quindi entrare in vigore.

In conclusione

Tra il 25 e il 26 novembre il presidente del Consiglio Draghi e quello della Repubblica francese Macron firmeranno a Roma il “trattato del Quirinale”, un trattato di cooperazione su un’ampia serie di tematiche tra Italia e Francia. L’idea per questo trattato è stata lanciata nel 2017.

A pochi giorni dalla firma, il “trattato del Quirinale” ha diviso il centrodestra: Fratelli d’Italia e Lega hanno parlato di scarso coinvolgimento del Parlamento nella scrittura del trattato, Forza Italia ha approvato l’accordo tra Italia e Francia e la procedura seguita.

Da un punto di vista procedurale, le critiche di Fdi e Lega sono esagerate. Infatti, come previsto dalla Costituzione, il Parlamento sarà sicuramente coinvolto nella procedura per la ratifica del “trattato del Quirinale”: dopo la firma da parte dei rappresentanti del governo, e prima che il Presidente della Repubblica ratifichi, sarà necessaria l’approvazione da parte delle Camere di una legge ordinaria che autorizzi il Quirinale a ratificare. Solo al termine di questa procedura il trattato inizierà ad avere efficacia giuridica.